Criminalità Nigeriana

 


Una forma di criminalità non trattata a sufficienza in Italia ma che trova posto nell'ultimo rapporto della Dia è la Criminalità Nigeriana.

I primi insediamenti di nigeriani in Italia si registrarono negli anni ’80 principalmente attraversoflussi migratori irregolari che hanno interessato inizialmente le regioni del nord-Italia e in particolare il Veneto, il Piemonte, la Lombardia e l’Emilia Romagna dove oltre a comunità operose ed inclini all’integrazione si sono progressivamente manifestate sacche di illegalità.
Espressioni criminali qualificate si verificarono quando vennero intercettati i primi “corrieri”
di droga. In Italia infatti il primo arresto di un narcotrafficante nigeriano risale al 1987. L’operatività di gruppi “organizzati” venne ad evidenziarsi nei primi anni ’90 nel centro-sud in
particolar modo in Campania, nella provincia di Caserta e sul litorale domitio. Le strutture
criminali nigeriane sono oggi attive su gran parte del territorio nazionale con presenze importanti nelle isole maggiori in particolare a Palermo, Catania e Cagliari ma anche nel Lazio e in Abruzzo.
L’alto tasso di disoccupazione rilevato tra i nigeriani presenti sul territorio nazionale, raffrontato col considerevole ammontare delle rimesse di denaro dall’Italia verso la Nigeria, consente di ipotizzare che un alto numero di soggetti disoccupati o in posizione di inattività di etnia nigeriana presenti in Italia possano almeno potenzialmente essere attratti dalle compagini malavitose autoctone o di quell’etnia e che i flussi delle rimesse, oltre alla quota sicuramente preponderante di natura lecita che attesta l’operosità della comunità nigeriana, possano celare anche proventi di attività illegali.
Gli interessi criminali delle consorterie nigeriane si concentrano prevalentemente sulla tratta di esseri umani connessa con lo sfruttamento della prostituzione e l’accattonaggio forzoso a cui si associa un progressivo sviluppo nel settore del narcotraffico gestito talvolta in collaborazione con gruppi criminali albanesi. Tali sodalizi risultano inoltre attivi nelle estorsioni in danno di cittadini africani, nella falsificazione di documenti, nelle truffe e frodi informatiche, nella contraffazione monetaria, nonché nei reati contro la persona e il patrimonio. Anche
questa criminalità etnica sembra esprimersi su diversi livelli poiché taluni soggetti operano nella veste di semplice manovalanza nello spaccio al dettaglio. Tuttavia sotto il profilo della pericolosità economica e sociale assumono predominante rilievo i c.d. secret cults i cui tratti tipici sono l’organizzazione gerarchica, la struttura paramilitare, i riti di affiliazione, i codici di comportamento e più in generale un modus agendi relativamente al quale la Corte di Cassazione si è più volte espressa riconoscendone la tipica connotazione di “mafiosità”. Significative nel merito pure le motivazioni della Sentenza con la quale la Corte d’Appello di Torino ha condannato per associazione di tipo mafioso i componenti di due organizzazioni nigeriane i MAPHITE e gli EIYE in conflitto tra loro (operazione “Athenaeum”).
Rivestono, tuttavia, fondamentale importanza sotto il profilo della riconosciuta similitudine
dell’operatività dei sodalizi nigeriani a quella mafiosa, come già riportato nelle precedenti
Relazioni semestrali le operazioni “Maphite – Bibbia verde” e “Burning Flame” coordinate rispettivamente dalle DDA di Torino e Bologna e per le quali sono rispettivamente state pronunciate il 25 settembre 2020 e il successivo 29 ottobre sentenze di condanna per associazione di tipo mafioso. 

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