Segnalo articolo di Claudio Loiodice e di Dania Mondini. La parte in neretto la metto come piccola anteprima in quanto significativa vista situazione odierna. L'articolo evidenzia in modo corretto la differenziazione tra detenuti normali e mafiosi. Buona lettura.
Salvatore Calleri
"Per quanto riguarda invece i detenuti pericolosi, come i mafiosi, ma non solo, fermo restando il loro diritto alla salute come bene costituzionalmente garantito, le misure di sicurezza e restrizione carceraria andrebbero addirittura rafforzate".
Il potenziale esplosivo carcerario
Esiste un parallelismo tra distanziamento sociale e carcere? Entrambi gli “Istituti sociali” hanno una funzione di prevenzione e per entrambi è necessario evitare che si trasformino in apatia ed emarginazione. Le misure di contenimento della pandemia, come quelle del confinamento di elementi pericolosi, non possono e non devono divenire definitive. Si spera che una volta ridotta la capacità offensiva del virus la popolazione possa riprendere a relazionarsi in maniera più empatica e fisica. Nello stesso concetto risiede la speranza che l’individuo confinato in regime carcerario una volta rieducato e dopo aver scontato la punizione che gli è stata inflitta, possa rientrare nel contesto sociale senza il timore che costituisca ancora un pericolo per la convivenza civile. Sono esclusi da queste ipotesi i soggetti che per la gravità degli atti commessi, o piuttosto per l’indole criminale, ritenuto quale elemento immodificabile del carattere, sono stati condannati a quella che il linguaggio carcerario definisce “fine pena mai”. Il parallelismo si ferma qui perché mentre il virus è un organismo ostile per antonomasia, l’essere umano che delinque rappresenta, che lo si voglia capire o no, un elemento integrante della società e come tale non smette mai di possedere dignità. Dignità che viene calpestata nelle carceri tanto da contribuire, al contrario dei quanto teorizzato, ad accrescere e tal volta addirittura accendere le capacità criminali del soggetto recluso. Se teniamo presente l’impianto filosofico che giustifica la carcerazione e che si basa su tre concetti essenziali (salvaguardia della tranquillità e del bene sociale, rieducazione ed esempio), è necessario quindi dividere la popolazione carceraria in altrettanti tre gruppi: il primo, quello più debole è l’innocente – la giustizia ci ha purtroppo abituato a plateali errori – il secondo costituito da soggetti che delinquono occasionalmente, per necessità o per opportunità – anche se questa non deve e non vuole essere una giustificazione – il terzo rappresentato da soggetti la cui devianza sociale è tale da trasformare sistematicamente i loro comportamenti in crimini.
L’emergenza che stiamo vivendo a causa della pandemia non deve farci dimenticare nessuno di questi gruppi di emarginati sociali, le cui esistenze sono affidate alla collettività durante la loro vita in “cattività”. È nostro preciso dovere tutelare la salute anche dei detenuti, ma sarebbe anche intelligente non solo doveroso, assicurare condizioni “umane” nelle carceri, per non rischiare che diventino polveriere sociali e pandemiche, capaci di esplodere disastrosamente. Pertanto, è indispensabile un piano straordinario di intervento come quello che si è approntato per gli ospedali. In primo luogo, vanno immediatamente individuati altri spazi carcerari tra quelli già esistenti e in disuso e nuove strutture emergenziali. Non tutti i carcerati necessitano di severissime misure di sicurezza per la reclusione. Vanno individuati i casi che possono non costituire motivo di recidiva per reati della stessa natura e indole, come per esempio dei ladri. Bisogna a tal proposito tener conto del calo dei reati contro il patrimonio. Questo calo è dovuto a diversi fattori che non dipendono dall’indole del reo, ma dalle condizioni pratiche: restrizione di movimenti; chiusura dei negozi; permanenza forzata nelle abitazioni; controllo capillare del territorio. In questo caso la detenzione domiciliare, specie per le persone in attesa di giudizio o detenuti per fatti di entità lieve, non costituirebbe un pericolo per la società. Al momento un detenuto per una bancarotta certamente non potrà reiterare il reato, al contrario del truffatore per professione che invece potrà trovare terreno facile e intercettare le necessità della gente in crisi. Si potrà far ricorso a tecnologie avanzate come il controllo degli spostamenti attraverso il braccialetto elettronico, ad esempio. Per quanto riguarda invece i detenuti pericolosi, come i mafiosi, ma non solo, fermo restando il loro diritto alla salute come bene costituzionalmente garantito, le misure di sicurezza e restrizione carceraria andrebbe addirittura rafforzata. Un alleggerimento della popolazione carceraria favorirebbe un controllo più incisivo. Non bisogna infine dimenticare la polizia penitenziaria, che vive e interagisce all’interno delle carceri. Gli operatori vanno protetti e il loro numero va aumentato, come è stato fatto per i medici e gli infermieri. Vanno ad esempio impiegate se necessario anche le guardie giurate per il controllo dei detenuti con scarsa pericolosità in strutture adeguate e di emergenza. La polizia penitenziaria alla quale bisogna dare le opportune dotazioni e il necessario supporto anche economico oltre che psicologico, difficilmente potrà sopportare a lungo condizioni così gravose e le conseguenze ricadrebbero sull’intera collettività. Un piccolo accenno alla comunicazione va fatto. Ci pare deleterio continuare a schematizzare il mondo in “buoni e cattivi”. È probabilmente così ma non bisogna dimenticare che sia i buoni che i cattivi sono esseri umani. Il dovere di chi ha il dovere di informare è quello di essere mediatori intellettualmente indipendenti tra la notizia e il cittadino. Bisogna dar voce anche agli emarginati e il carcere è per antonomasia un luogo di emarginazione forzata, e bisogna farlo sempre, non solo quando viene evidenziato un problema. Raccontare delle necessità dei carcerati è raccontare la nostra società anche se le notizie possono non far piacere, ma è molto più semplice raccontare dei capricci di una blogger o dello spaghetto scotto di uno chef. Si pensa che alla gente non interessa di quello che avviene in una cella – violenza, omosessualità voluta, subita o scoperta, sopraffazione, mafia, corruzione, sofferenza, speranza di rinascita, amori, gelosie, turbamenti – invece è solo il risultato di una errata interpretazione. Alla gente interesserebbe conoscere, sta a noi divulgatori informarli precisamente di ciò che accede e che improvvisamente potrebbe cambiare anche la loro vita. Spetta a noi giornalisti e studiosi sensibilizzare le coscienze e forse, dopo “quest’ora buia”, sapremo fare meglio.
Claudio Loiodice
Sociologo Professionista
Socio vitalizio ANS
Dania Mondini
Giornalista Rai TG1
Socia Onoraria ANS
Salvatore Calleri
"Per quanto riguarda invece i detenuti pericolosi, come i mafiosi, ma non solo, fermo restando il loro diritto alla salute come bene costituzionalmente garantito, le misure di sicurezza e restrizione carceraria andrebbero addirittura rafforzate".
Il potenziale esplosivo carcerario
Esiste un parallelismo tra distanziamento sociale e carcere? Entrambi gli “Istituti sociali” hanno una funzione di prevenzione e per entrambi è necessario evitare che si trasformino in apatia ed emarginazione. Le misure di contenimento della pandemia, come quelle del confinamento di elementi pericolosi, non possono e non devono divenire definitive. Si spera che una volta ridotta la capacità offensiva del virus la popolazione possa riprendere a relazionarsi in maniera più empatica e fisica. Nello stesso concetto risiede la speranza che l’individuo confinato in regime carcerario una volta rieducato e dopo aver scontato la punizione che gli è stata inflitta, possa rientrare nel contesto sociale senza il timore che costituisca ancora un pericolo per la convivenza civile. Sono esclusi da queste ipotesi i soggetti che per la gravità degli atti commessi, o piuttosto per l’indole criminale, ritenuto quale elemento immodificabile del carattere, sono stati condannati a quella che il linguaggio carcerario definisce “fine pena mai”. Il parallelismo si ferma qui perché mentre il virus è un organismo ostile per antonomasia, l’essere umano che delinque rappresenta, che lo si voglia capire o no, un elemento integrante della società e come tale non smette mai di possedere dignità. Dignità che viene calpestata nelle carceri tanto da contribuire, al contrario dei quanto teorizzato, ad accrescere e tal volta addirittura accendere le capacità criminali del soggetto recluso. Se teniamo presente l’impianto filosofico che giustifica la carcerazione e che si basa su tre concetti essenziali (salvaguardia della tranquillità e del bene sociale, rieducazione ed esempio), è necessario quindi dividere la popolazione carceraria in altrettanti tre gruppi: il primo, quello più debole è l’innocente – la giustizia ci ha purtroppo abituato a plateali errori – il secondo costituito da soggetti che delinquono occasionalmente, per necessità o per opportunità – anche se questa non deve e non vuole essere una giustificazione – il terzo rappresentato da soggetti la cui devianza sociale è tale da trasformare sistematicamente i loro comportamenti in crimini.
L’emergenza che stiamo vivendo a causa della pandemia non deve farci dimenticare nessuno di questi gruppi di emarginati sociali, le cui esistenze sono affidate alla collettività durante la loro vita in “cattività”. È nostro preciso dovere tutelare la salute anche dei detenuti, ma sarebbe anche intelligente non solo doveroso, assicurare condizioni “umane” nelle carceri, per non rischiare che diventino polveriere sociali e pandemiche, capaci di esplodere disastrosamente. Pertanto, è indispensabile un piano straordinario di intervento come quello che si è approntato per gli ospedali. In primo luogo, vanno immediatamente individuati altri spazi carcerari tra quelli già esistenti e in disuso e nuove strutture emergenziali. Non tutti i carcerati necessitano di severissime misure di sicurezza per la reclusione. Vanno individuati i casi che possono non costituire motivo di recidiva per reati della stessa natura e indole, come per esempio dei ladri. Bisogna a tal proposito tener conto del calo dei reati contro il patrimonio. Questo calo è dovuto a diversi fattori che non dipendono dall’indole del reo, ma dalle condizioni pratiche: restrizione di movimenti; chiusura dei negozi; permanenza forzata nelle abitazioni; controllo capillare del territorio. In questo caso la detenzione domiciliare, specie per le persone in attesa di giudizio o detenuti per fatti di entità lieve, non costituirebbe un pericolo per la società. Al momento un detenuto per una bancarotta certamente non potrà reiterare il reato, al contrario del truffatore per professione che invece potrà trovare terreno facile e intercettare le necessità della gente in crisi. Si potrà far ricorso a tecnologie avanzate come il controllo degli spostamenti attraverso il braccialetto elettronico, ad esempio. Per quanto riguarda invece i detenuti pericolosi, come i mafiosi, ma non solo, fermo restando il loro diritto alla salute come bene costituzionalmente garantito, le misure di sicurezza e restrizione carceraria andrebbe addirittura rafforzata. Un alleggerimento della popolazione carceraria favorirebbe un controllo più incisivo. Non bisogna infine dimenticare la polizia penitenziaria, che vive e interagisce all’interno delle carceri. Gli operatori vanno protetti e il loro numero va aumentato, come è stato fatto per i medici e gli infermieri. Vanno ad esempio impiegate se necessario anche le guardie giurate per il controllo dei detenuti con scarsa pericolosità in strutture adeguate e di emergenza. La polizia penitenziaria alla quale bisogna dare le opportune dotazioni e il necessario supporto anche economico oltre che psicologico, difficilmente potrà sopportare a lungo condizioni così gravose e le conseguenze ricadrebbero sull’intera collettività. Un piccolo accenno alla comunicazione va fatto. Ci pare deleterio continuare a schematizzare il mondo in “buoni e cattivi”. È probabilmente così ma non bisogna dimenticare che sia i buoni che i cattivi sono esseri umani. Il dovere di chi ha il dovere di informare è quello di essere mediatori intellettualmente indipendenti tra la notizia e il cittadino. Bisogna dar voce anche agli emarginati e il carcere è per antonomasia un luogo di emarginazione forzata, e bisogna farlo sempre, non solo quando viene evidenziato un problema. Raccontare delle necessità dei carcerati è raccontare la nostra società anche se le notizie possono non far piacere, ma è molto più semplice raccontare dei capricci di una blogger o dello spaghetto scotto di uno chef. Si pensa che alla gente non interessa di quello che avviene in una cella – violenza, omosessualità voluta, subita o scoperta, sopraffazione, mafia, corruzione, sofferenza, speranza di rinascita, amori, gelosie, turbamenti – invece è solo il risultato di una errata interpretazione. Alla gente interesserebbe conoscere, sta a noi divulgatori informarli precisamente di ciò che accede e che improvvisamente potrebbe cambiare anche la loro vita. Spetta a noi giornalisti e studiosi sensibilizzare le coscienze e forse, dopo “quest’ora buia”, sapremo fare meglio.
Claudio Loiodice
Sociologo Professionista
Socio vitalizio ANS
Dania Mondini
Giornalista Rai TG1
Socia Onoraria ANS
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