La mafia si è evoluta.
Beh, credo che siano veramente in pochi a non essersene accorti.
Non solo attività lecite direttamente connesse a quelle criminali, o solo per citarne un’altra, il connubio con politica e massoneria, la mafia si è spinta ben oltre l’immaginabile.
Intrecci o legami con apparati dello Stato sono ormai ben noti.
Oltre a infiltrarsi nelle Forze dell’ordine e magistratura, utilizza i mezzi di informazione, mediante giornalisti collusi, oppure facendo partecipare propri esponenti in trasmissioni televisive.
Si “affaccia” persino ad iniziative antimafia e utilizza i social media. Approfitta di incaute e nefaste fiction per fare proselitismo tra i giovani.
La mafia si è insinuata addirittura nel sistema sicurezza, con società di vigilanza privata.
Non disdegna di accaparrarsi attività commerciali anche nelle immediate vicinanze di uffici delle Forze di polizia o di quelli giudiziari. Marca il territorio con protervia, incurante delle inevitabili conseguenze (sequestri e confische), tanto per loro sono briciole. E’ una palese dimostrazione di forza.
Mentre i sistemi economici anche dei grandi Paesi traballano, la mafia, grazie alla versatilità che la contraddistingue, prospera e amplia costantemente, senza grossi intoppi, le sue reti affaristiche.
Una delle sue peculiarità è lo sfruttamento di ogni debolezza dello Stato e non solo del nostro.
La mafia ha una schiera infinita di eccellenti professionisti che operano costantemente per diversificare le attività imprenditoriali.
Insomma, la mafia è diventata il più importante impero finanziario del pianeta.
Solo in Italia le stime parlano di un giro di affari annui che vanno dai 150 ai 200 miliardi di euro. Stime approssimative che non potremo mai quantificare con precisione.
Un ministro delle infrastrutture e dei trasporti del governo Berlusconi, Pietro Lunardi, nel 2001 affermò pubblicamente che “con la mafia bisogna convivere e i problemi di criminalità ognuno li risolva come vuole”.
Lunardi, in quella circostanza, probabilmente non riuscì a frenare la sua lingua ed espresse, incautamente, il suo pensiero.
Quanti altri politici italiani, in tutti questi anni, pur partecipando alle varie ricorrenze delle stragi di mafia, avranno solo pensato, senza esprimere il concetto pubblicamente, che “bisogna convivere con la mafia”?
La storia anche recentissima del nostro Paese dimostra che il numero è consistente. Non solo politici ottusi ma anche troppi politici protagonisti di accordi con organizzazioni criminali di stampo mafioso, così come è stato dimostrato dalle innumerevoli inchieste giudiziarie.
La lotta alla mafia si fa, ma per far sì che si trasformi in una lotta efficace che possa veramente sconfiggere questo maledetto tumore, è necessario fare molto di più.
Proprio in questi giorni abbiamo letto la prefazione del Prefetto di Palermo, Antonella De Miro al libro “Le centro storie di Aemilia” di Paolo Bonacini.
Ho avuto il piacere di conoscere e collaborare con il prefetto De Miro, nel periodo in cui ricopriva l’incarico a Reggio Emilia.
In quella provincia, nonostante gli omicidi di mafia, il lancio di bombe in un bar del centro di Reggio Emilia e tanti altri episodi avvenuti a causa di un conflitto tra le ‘ndrine Dragone e Grande Aracri, in troppi sostenevano che la mafia da quelle parti “non c’era”. Abbiamo visto come è andata a finire.
La città di Brescello, in provincia di Reggio Emilia, è stata commissariata per mafia. I processi Aemilia hanno messo in evidenza un sistema, creato dalla ‘ndrina Grande Aracri, che governava quel territorio.
Il prefetto De Miro, nella prefazione, afferma “ho combattuto la banalità del male della ‘ndrangheta al Nord: tra convenienze e sottovalutazioni”.
Appunto, “convenienze e sottovalutazioni”. Proprio così la mafia prospera.
La De Miro dava fastidio a Reggio Emilia. Aveva emesso troppe interdittive antimafia nei confronti di società impegnate in appalti pubblici. Proprio da quei provvedimenti, contrastati sin da subito dalla politica, anche a livello nazionale con interrogazioni parlamentari presentate dall’ex senatore Carlo Giovanardi, è stato possibile infliggere un duro colpo alla cosca della ‘ndrangheta.
Non è frequente, purtroppo, trovare prefetti come la De Miro che ha sempre ritenuto che “le interdittive sono un colpo duro per la mafia”.
Al di fuori delle regioni di origine, le mafie non sono percepite come un pericolo ed è per questo motivo che riescono ad infiltrarsi facilmente nell’economia legale. Le interdittive antimafia sono estremamente importanti perché consentono di intercettarle sin dall’inizio.
Purtroppo, non tutti i prefetti la pensano così.
Basterebbe andare a vedere quanti accessi ispettivi nei cantieri dei lavori pubblici sono stati disposti o quanti provvedimenti interdittivi antimafia sono stati comminati nelle province, soprattutto quelle del centro e nord Italia, per comprendere che nella maggior parte dei casi prevalgono altri orientamenti: evitare rallentamenti nei cantieri o la salvaguardia dei posti di lavoro; poi, se le aziende sono infiltrate dalla mafia, pazienza.
La mafia, in questo caso, condiziona fortemente lo Stato, sino a ricattarlo. Non solo. Le società infiltrate ricattano e sfruttano anche i lavoratori, obbligandoli a svolgere orari estenuanti, sottopagandoli, arrivando anche minacciarli fisicamente nel caso in cui gli venisse in mente di denunciare a sindacati o alle autorità questo comportamento vessatorio.
Non solo alcuni prefetti ma molti amministratori locali hanno una visione assolutamente nefasta per le conseguenze che ne conseguono e affrontano questo argomento come mero fatto burocratico, preoccupandosi più dell’eventuale danno di immagine delle aziende colpite da interdittiva antimafia, fregandosene del gravissimo rischio di infiltrazione mafiosa nel proprio territorio.
Oltretutto non si prendono in considerazione le conseguenze che scaturiscono da questo sistema colabrodo. Gli imprenditori onesti non riescono ad aggiudicarsi gli appalti e sono costretti a chiudere; nei cantieri dove lavorano le imprese infiltrate dalla mafia non sono mai rispettate le norme della sicurezza nei luoghi di lavoro; nella maggior parte dei casi sono utilizzati materiali scadenti e quindi le costruzioni sono a rischio crollo; la criminalità organizzata crea consenso sociale e controlla il territorio.
Sono anni che definisco il sistema degli appalti pubblici un buco nero.
Manca la necessaria trasparenza. Nonostante siano state attivate banche dati anche a livello territoriale (Sistema informativo telematico appalti regionale), queste non sono implementate dalle stazioni appaltanti.
Di conseguenza, per acquisire tutte le informazioni è sempre necessario l’accesso ispettivo antimafia nel cantiere dei lavori pubblici. Un impegno assai rilevante per le Forze di polizia. L’ispezione è condotta dal gruppo interforze della prefettura ed è composto da personale della Direzione investigativa antimafia, della questura, dei comandi provinciali di Carabinieri e Guardia di Finanza, coadiuvato da personale dell’ispettorato territoriale del Lavoro, dell’Asl e del provveditorato per le opere pubbliche. Nel cantiere ispezionato vengono identificati tutti i lavoratori e i mezzi, ed acquisiti i contratti di fornitura e gli eventuali subappalti. Capite bene come sia complicato monitorare attentamente tutto il sistema.
Per contrastare efficacemente le infiltrazioni della mafia negli appalti pubblici, servirebbe un ampliamento delle White list istituite presso le prefetture, previste dal D.P.C.M. 18 aprile 2013, e una reale trasparenza amministrativa. Invece, si continua a parlare di soglie e di tante altre cose inutili.
Rendere più agili i controlli, è una garanzia per l’imprenditoria sana e consente di espungere dal mondo dei rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione, le imprese che sono condizionate dalla mafia.
Volendo, si può fare di più. Un altro esempio?
Nella legge anticorruzione (n. 190/2012) sono previste una serie di attività definite come “maggiormente a rischio di infiltrazione mafiosa”. L’elenco è piuttosto carente nel campo dei rifiuti. Sapete bene quanto la mafia sia ben presente in questo settore. Ecco in questo elenco si potrebbero aggiungere le società che gestiscono gli impianti di rifiuti nei quali vengono conferiti i rifiuti provenienti da opere pubbliche (come le bonifiche e/o lavori autostradali) e/o dalla raccolta differenziata dei comuni; le società che si occupano delle bonifiche in base alla procedura prevista al titolo V del D.Lgs. 152/2006 (bonifica di siti contaminati) artt. 239 e seguenti. In base alla normativa vigente, per rendere efficace la modifica basterebbe un apposito decreto del Ministro dell’interno, adottato di concerto con i Ministri della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti e dell’economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, da rendere entro trenta giorni dalla data di trasmissione del relativo schema alle Camere. Qualora le Commissioni non si pronuncino entro il termine, il decreto può essere comunque adottato.
I controlli capillari sono fondamentali per contrastare la pervasività nell’economia legale delle mafie.
Lotta costante, senza tregua che non riguarda solo il nostro Paese, ma anche tutta l’Europa. Le mafie italiane da anni investono ingentissimi capitali proprio oltre le Alpi, dove non esistono norme antimafia. Ecco perché è assolutamente necessario che gli altri Paesi dell’Unione Europea adottino la normativa vigente in Italia.
E’ poi stata smarrita la “via dei soldi”.
Il contrasto ai patrimoni e, soprattutto, all’economia criminale è fondamentale per sconfiggere la mafia.
Da tempo è stata introdotta, come mezzo di contrasto all’economia illecita, la segnalazione di operazioni finanziarie sospette (o.f.s.).
Cos’è l’o.f.s.?
È quell’operazione bancaria che, per modalità di esecuzione, condizioni economiche e imprenditoriali di chi l’ha posta in essere, risulta anomala.
E’ uno straordinario mezzo d’investigazione economico finanziario.
In estrema sintesi, la segnalazione sospetta consente di procedere a un’attività info-investigativa preliminare, sotto il profilo economico finanziario (si mettono in relazione redditi – capacità imprenditoriale – patrimonio – operatività bancaria – relazioni sociali) al termine della quale si relaziona se l’operazione bancaria segnalata è congrua e in linea con il profilo finanziario di chi l’ha effettuata. Se l’attività investigativa eseguita riscontra l’incongruità, ovvero possibili atti o fatti illeciti, si procede con l’informazione all’Autorità giudiziaria.
A operare in questo ambito sono delegati la Guardia di Finanza e la DIA. In quest’ultimo caso solo quando vi siano risvolti di natura mafiosa.
Quindi le operazioni finanziarie sospette consentono di procedere ad accertamenti patrimoniali, in particolar modo quelli di natura bancaria.
Nonostante vi siano centinaia di migliaia di o.f.s. segnalate, solo pochissime di queste vengono sviluppate e prese in seria considerazione dall’AG.
Perché avviene questo?
Sono indagini lunghe ed estremamente complesse.
E’ vero, gli approfondimenti sono particolarmente complicati, ma sono molto più pertinenti alla lotta alle ricchezze criminali, rispetto anche alle classiche indagini associative.
Queste inchieste partono sempre col “botto”, arresti, sequestri preventivi e, successivamente, con misure di prevenzione. Dopo i primi risultati, però, tutto si ferma inevitabilmente lì. Non si da seguito ad analisi di natura bancaria per verificare la corrispondenza dei flussi finanziari in entrata e in uscita dei soggetti chiamati in causa.
Ci si accontenta solo del risultato iniziale conseguito, limitandosi a promuovere esclusivamente la misura di prevenzione patrimoniale, trascurando – forse per incapacità o insufficiente preparazione – di andare a scoprire cosa realmente si celava dietro quella documentazione, cioè il “livello superiore”.
In poche parole, inevitabilmente, per svariati motivi – mancanza di tempo, uomini e mezzi- le indagini si fermano quasi sempre al primo stadio investigativo. Invece, sarebbe assolutamente necessario dare maggiore impulso a questo tipo di attività.
Si potrebbe contrastare più efficacemente la mafia, ottenendo maggiori risultati nel settore economico finanziario, se solo si cercasse di non limitarsi al sequestro dei patrimoni, ma si puntasse ad individuare i prestanome dei mafiosi, cioè quegli imprenditori che, costretti o compiacenti, che utilizzano le ricchezze mafiose. Quasi sempre il sequestro interviene su beni immobili e mobili e non sulle reali liquidità finanziarie, perché non riconducibili ai mafiosi ma a loro prestanome.
Se si seguissero i flussi finanziari, cioè il trasferimento di denaro da un soggetto all’altro, spesso non giustificato da inerenza economico – commerciale (differente oggetto sociale), si potrebbero individuare i reali favoreggiatori e investitori della mafia e dare seguito a sequestri e confische di liquidità e imprese bene addentrate nell’economia reale di questo Paese, soprattutto con proiezioni internazionale.
I soldi e la ricchezza della criminalità organizzata non risiedono al Sud ma nelle città del nord Italia e nell’Europa.
Falcone, Borsellino, Ninni Cassarà avevano come obiettivo primario seguire il flusso dei soldi per sconfiggere la mafia. Quella via, nonostante i nuovi strumenti a disposizione, probabilmente è stata smarrita.
Potrei andare avanti con altre questioni, ritengo fondamentale, per concludere, mettere in evidenza un altro aspetto che fa gioco alla mafia. Nel nostro Paese, non da ora, prevalgono sempre le fazione opposte anche su tematiche che dovrebbero unire. Avviene un po’ quello che si sintetizza con la locuzione latina “Divide et impera”; il migliore espediente di una tirannide o di un’autorità qualsiasi per controllare e governare un popolo è dividerlo, provocando rivalità e fomentando discordie.
La mafia gongola quando ascolta frasi come “l’antimafia è peggio della mafia”.
La politica, il mondo del giornalismo e dell’associazionismo riesce dividersi anche su una questione così delicata come la mafia, offrendogli un assist fenomenale al crimine organizzato.
Tutti coloro che hanno a cuore le sorti del nostro Paese hanno il dovere di essere coesi in questa guerra, agendo in maniera compatta e fattiva, a tutti i livelli, non delegando il contrasto esclusivamente a magistratura e Forze di polizia.
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