REPORT SU LIVORNO E VAL DI CORNIA 2021
A cura di Salvatore Calleri e Renato Scalia
LIVORNO
Livorno è un comune di 157.024
abitanti capoluogo dell'omonima
provincia in Toscana.Terza
città della regione per popolazione (dopo Firenze e Prato), ospita da sola
quasi la metà degli abitanti della propria provincia; con i comuni limitrofi
di Pisa e Collesalvetti costituisce inoltre un vertice di
un "triangolo industriale" la cui popolazione complessiva ammonta a
oltre 260.000 abitanti. È situata lungo la costa del Mar Ligure ed è
uno dei più importanti porti italiani, sia come scalo commerciale sia
come scalo turistico, centro industriale di rilevanza nazionale, da tempo in
declino, tanto da essere riconosciuta nel 2015 come "area di
crisi industriale complessa".
Tra tutte le città toscane è solitamente
ritenuta la più moderna,sebbene nel suo territorio siano presenti diverse
testimonianze storiche, artistiche e architettoniche sopravvissute
ai massicci bombardamenti della seconda guerra mondiale e
alla successiva ricostruzione...
Il porto di Livorno è, sin dalle
sue origini, uno dei più importanti del Mediterraneo: può
movimentare qualsiasi tipo di merce, da quella liquida a quella solida in
rinfusa, alle automobili, ai prodotti congelati, alla frutta, agli impianti
destinati alle imprese industriali, ma soprattutto movimenta migliaia
di containers in arrivo e in partenza per tutto il mondo. A servizio
del porto mercantile, nel territorio comunale di Collesalvetti, si
trovano inoltre l'interporto Vespucci e l'autoparco del "Faldo",
che contribuiscono a configurare Livorno e le aree limitrofe come una
piattaforma logistica di importanza nazionale.
Inoltre il porto labronico è anche un
frequentato scalo passeggeri, capace di ospitare anche i più
grandi transatlantici del mondo, come il "Queen Mary 2",
che ha fatto di Livorno una rotta abituale...
La
situazione del Porto di Livorno (e non solo)
1. PORTO DI LIVORNO: SNODO STRATEGICO
PER I TRAFFICI ILLECITI INTERNAZIONALI
Da tempo, il porto di Livorno è diventato snodo
strategico dei traffici illeciti, a livello internazionale.
Fonte: Relazione 2019 della DCSA (Direzione centrale
per i servizi antidroga)
“...Le indagini coordinate da questa Direzione
confermano che la contaminazione di containers risulta
la modalità preferita per le tratte oceaniche. A tal proposito, i
maggiori sequestri registrati nei porti di Genova e Livorno,
rispetto a quello di Gioia Tauro (RC), indicano che l’individuazione
del porto prescinde dall’area criminale di interesse e dal territorio controllato
dall’organizzazione, ma avviene sulla base delle aderenze che la stessa
può garantirsi, anche all’estero, nonché delle capacità logistiche, di
controllo e gestione di società di trasporto merci, non solo per via marittima...”.
2. OPERAZIONI POLIZIA PORTO DI LIVORNO
E' stata eseguita una ricerca su “fonti aperte” (sono
state consultate, in particolar modo, le relazioni della DNA, DIA e DCSA).
Da mettere in evidenza il fatto che la ricerca
relativa agli anni '80 e inizio anni '90 non ha portato alcun risultato.
Occorre tener presente che, all'epoca, i documenti di
analisi delle Forze di polizia erano assai carenti, se non del tutto
insistenti. Oltretutto, quelli che c'erano, non venivano divulgati.
Si tenga presente che la DIA, istituita nel 1991, ha
iniziato a produrre le relazioni semestrali nel 1992, oltretutto, all'inizio in
maniera estremamente sintetica.
Di seguito l'elenco delle operazioni più rilevanti
eseguite nell'ambito dello scalo portuale dal 1997 al 2020.
CLAN |
DATA |
SEQUESTRO |
PROVENIENZA |
|
1997 |
Traffico internazionale autovetture lusso |
Italia per altri Paesi |
|
1998 |
Kg. 16 cocaina |
|
Op. Golden Plastic (1): Sodalizio criminale transnazionale |
Dal 2009 al 6/12/2011 |
Plastica e gomma |
Cina, Vietnam e Corea |
Op. Decollo ter e Op. Meta 2010 (2) Mancuso (Limbadi – VV), Piscopisani (Piscopio
– VV), Nirta-Strangio (San Luca - RC), Bellocco e
Pesce (Rosarno - RC), Papaniciari (fraz. Papanice
di Crotone) |
10/11/11 |
Kg. 1.200 cocaina |
Cile |
|
16/12/11 |
Medicinali |
Cina |
(3) Birra- Iacomino (Ercolano – NA), Fabbrocino, Casalesi |
Dal 2009 al 2013 |
Plastica e rifiuti tessili |
Cina - Tunisia |
Op.Stammer (4): ‘ndrina Fiarè (San Gregorio
d’Ippona - VV), ‘ndrina Pititto-Prostamo-Iannello (Mileto
- VV), gruppo egemone sulla contigua San Calogero (VV), organizzazioni
satellite cosca Mancuso(Limbadi - VV), con la
partecipazione delle più note ‘ndrine Piana di Gioia Tauro
(RC) e provincia di Crotone |
21/08/15 |
Kg. 63 cocaina (carico di prova), Kg. 8.000 sequestrati in Colombia |
Colombia |
|
13/05/16 |
Kg. 130 cocaina |
Rep. Domenicana |
Op. Vulcano (5) Piromalli-Molè (Gioia Tauro–RC), Alvaro (Sinopoli – RC) e
Crea (Rizziconi-RC) |
08/07/16 |
Cocaina |
Panama |
Op. Akuarius (6): “I Pesci” Piromalli-Molè (Gioia Tauro - RC) |
12/09/16 |
Kg. 134 cocaina |
Sud America |
Op. Gerry (7) Bellocco (Rosarno), Molè-Piromalli (Gioia Tauro), Avignone (Taurianova) Paviglianiti del
versante ionico reggino |
23/03/17 |
Kg. 357 cocaina Kg. 17 codeina |
Sud America |
Op. Miracolo (8) gruppo Cademartori-Ponzo (contiguo
sodalizi mafiosi etnei, in particolare ai clan Pillera-Puntina, Laudani, Cursoti, Gionta (Napoli), gruppo Cilione (Melito Porto
Salvo-RC), Barbaro (Platì – RC), Luongo
(Manfredonia – FG). |
28/03/17 |
Kg. 215 cocaina |
Costa Rica |
Op. End of Waste |
11/10/17 |
Traffico rifiuti metallici contaminati |
Italia x Pakistan, Cina, Indonesia, Corea |
|
13/03/18 |
Kg 223,69 cocaina |
Cile |
|
25/04/18 |
Kg. 7 cocaina |
Ecuador |
|
28/04/18 |
Kg. 40 cocaina |
Colombia |
Op. White Iron (9) Ciarelli-Di Silvio (attivo Latina,
legato ai Casamonica) |
27/07/18 |
Kg. 80 cocaina |
Cile |
|
30/01/19 |
Kg. 644 cocaina |
Honduras - Spagna |
|
21/06/19 |
Kg. 55.193 rame |
Venezuela |
|
01/11/19 |
Kg. 300 cocaina |
Brasile |
|
25/11/19 |
Kg. 10.000 rifiuti spec. pericolosi |
Italia x Marocco |
|
21/01/20 |
Kg. 14.000 rifiuti tessili |
Italia x Senegal |
|
24/02/20 |
Kg. 3.330 cocaina |
Colombia |
|
28/04/20 |
Kg. 40 cocaina |
Colombia |
|
30/05/20 |
Kg. 11.000 rifiuti spec. pericolosi |
Italia x Senegal |
|
23/09/20 |
Kg. 3.000 (300 bombole) gas |
Cina |
(1) Operazione Gold Plastic, della Procura di Taranto e Dda di
Lecce che ha consentito di disvelare l’esistenza di un sodalizio
criminale transnazionale dedito all’illecito traffico
transfrontaliero di ingenti quantitativi di rifiuti speciali, costituiti
da plastica e gomma generati da aziende
nazionali operanti nello specifico settore, destinati all’area asiatica.
L’attività criminosa si sostanziava nella predisposizione di falsa
documentazione costituente il fascicolo dell’esportazione (bollette
doganali, documenti di trasporto, fatture di vendita) finalizzata ad eludere
gli organi di controllo circa la reale destinazione dei rifiuti stessi. I
soggetti di etnia cinese coinvolti nell’indagine si sono rivelati anelli di
collegamento tra le aziende nazionali fornitori dei rifiuti e gli impianti di
recupero asiatici. Nel corso dell'indagine, avviata nel gennaio 2009,
sono stati sequestrati, nel porto di Taranto ed altri scali
marittimi nazionali, tra cui quello di Livorno, 114
container ed oltre 2.600 tonnellate di rifiuti
speciali e di accertare, complessivamente, un traffico illecito di
quasi 34.000 tonnellate di rifiuti speciali diretti verso Cina, Vietnam e
Corea.
(2) Operazione Decollo ter (Op. Meta 2010), iniziata nel 2004 con
l'operazione Decollo, i Carabinieri del R.O.S. hanno arrestato 27 persone,
alcune delle quali affiliate alla ‘ndrangheta, perché responsabili
di associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze
stupefacenti, estorsione, intestazione fittizia di beni e reimpiego di
capitali illeciti, con l’aggravante mafiosa. Le indagini del ROS hanno permesso
di accertare un traffico di tonnellate di cocaina tra il Sud America,
l’Australia e l’Europa, ad opera delle cosche vibonesi (Mancuso, Piscopisani) e jonico-reggine (Nirta
Strangio, Bellocco e Pesce di Rosarno, Papacinari) che si approvvigionavano
dalle organizzazioni narcoterroristiche colombiane (Autodefensas
Unidas de Colombia - AUC). Gli investigatori hanno anche
individuato i circuiti di impiego dei proventi del traffico. Nel corso
dell’operazione sono state anche sequestrate tre società di autotrasporti,
attive nel settore della grande distribuzione e controllate
dall’organizzazione.
(3) 26 aprile 2017, 98 persone indagate e 61
società coinvolte (Prato, Montemurlo, Arezzo Veneto e Campania)
nell'ambito dell'inchiesta svolta dai carabinieri forestali, coordinati
dalla Dda Firenze, relativa ad un'associazione per delinquere di tipo
transnazionale dedita al traffico di rifiuti industriali (plastica e stracci) dall'Italia alla Cina. I rifiuti partivano da
diversi porti italiani tra i quali Livorno, Genova e Venezia. Un cittadino cinese
residente a Prato era uno dei principali
responsabili del traffico di merce. Alcuni interessi sarebbero esercitati
anche dal clan camorristico "Fabbrocino", costola dei
Casalesi. Coinvolti nel traffico transnazionale sono anche i
noti Vincenzo e Ciro Ascione, padre e
figlio, originari di Ercolano, ma di fatto attivi da tempo
a Prato, legati al clan della camorra Birra-Iacomino di Ercolano (NA).
(4) Operazione “Stammer” (Proc. pen. 9444/14 RGNR DDA
del Tribunale di Catanzaro), la Guardia di Finanza ha eseguito il fermo di 74
soggetti tra Calabria, Sicilia, Campania, Lazio, Emilia Romagna, Veneto,
Lombardia e Toscana. L’attività investigativa aveva evidenziato
l’esistenza di diversi gruppi criminali, attivi nel traffico
internazionale di sostanze stupefacenti provenienti dall’America latina,
riconducibili, in prevalenza, alle ‘ndrine dei FIARÈ di San
Gregorio d’Ippona (VV), a quella dei PITITTO-PROSTAMO-IANNELLO di
Mileto (VV) e alla più potente MANCUSO di Limbadi (VV).
(5) Operazione “Vulcano”, la Direzione Distrettuale Antimafia
di Reggio Calabria ha disarticolando un’associazione per delinquere,
aggravata dalla transnazionalità, finalizzata al traffico illecito di sostanza
stupefacente del tipo cocaina per conto delle potenti cosche
di ‘ndrangheta MOLÈ, PIROMALLI, ALVARO e CREA. L'inchiesta
ha permesso di accertare l’esistenza di un gruppo criminale articolato
su più livelli, comprensivo di squadre di operatori portuali infedeli e
dotato di elevatissime disponibilità finanziarie, costituito allo scopo di
reperire e acquistare all’estero, importare (prevalentemente attraverso i porti
panamensi di Cristobal e Balboa), trasportare in Italia attraverso cargoship in
arrivo, tra l’altro, nei porti di Rotterdam, Livorno,
Napoli, Salerno, Genova e Gioia Tauro nonché commercializzare ingenti
quantitativi di cocaina. Le attività di indagine hanno consentito, in
particolare, di disvelare una nuova metodologia di importazione della cocaina -
adottata dall’organizzazione criminale - più sofisticata e, allo stesso tempo,
più prudenziale rispetto a quella tradizionale basata sulla “esfiltrazione” della
sostanza stupefacente attraverso l’ausilio di operatori portuali
infedeli che, sfruttando le mansioni esercitate all’interno degli scali
portuali, effettuano, dietro precise disposizioni, l’apertura dei container
d’interesse nonché il prelievo del carico illecito (come acclarato nel corso di
precedenti attività di polizia giudiziaria come, ad esempio, nell’operazione
sempre del G.O.A. di Reggio Calabria “Puerto Liberado”). Infatti,
l’associazione ha gestito, in questo caso, il traffico di cocaina al fine di
procedere al trasbordo dello stupefacente in mare aperto, in una zona meno
presidiata dalle Forze di polizia, da una cargoship a piccole imbarcazioni.
(6) Operazione “Akuarius” (Proc.pen. 2514/14 NR e 4723/16 GIP
del Tribunale di Firenze nonché 4566/16 NR e 2535/16 GIP del Tribunale di
Livorno), l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza hanno
concluso che ha fatto luce su un sodalizio dedito al narcotraffico tra
i Paesi dell’America latina ed il porto di Livorno. L’indagine ha
evidenziato l’intreccio tra soggetti residenti nella provincia
di Livorno ed elementi della ‘ndrangheta gruppo “I PESCI”, PIROMALLI-MOLÈ (Gioia
Tauro – RC), nonché di arrestare il responsabile dell'omicidio
del trafficante toscano Raucci Giuseppe avvenuto a Tirrenia (PI) il 9 dicembre
2015. L’episodio omicidiario è ritenuto uno dei più inquietanti
avvenuti in toscana dal valore, altamente rappresentativo, della penetrazione
delle cosche calabresi e della loro pericolosità. Il ricorso - nei
casi estremi – all’applicazione, anche, oltre i confini regionali di origine,
delle regole ferree che ne disciplinano l’agire, costituisce la spia di
uno spaccato che ha visto allearsi trafficanti toscani con elementi calabresi
stanziati nel territorio.
(7) Operazione “Gerry” la Guardia di
Finanza, coordinata dalla DDA di Reggio Calabria, ha arrestato 19 soggetti,
ritenuti responsabili di far parte di un’organizzazione criminale dedita al
narcotraffico tra l’Italia (in alcuni casi lo stupefacente era destinato
al porto di Livorno) e il Sud America. In questo caso,
l’attività investigativa ha evidenziato legami trasversali tra soggetti legati
alle famiglie BELLOCCO di Rosarno, MOLÈ-PIROMALLI di
Gioia Tauro, AVIGNONE di Taurianova e
PAVIGLIANITI del versante ionico reggino. Tra gli indagati
figurano elementi residenti nelle province di Firenze
e Pistoia.
(8) Operazione Miracolo, OCCC n. 44647/17 RGNR-27601/17
RGGIP emessa il 18 febbraio 2019 dal Tribunale di Milano. Tra i mesi di ottobre
e novembre 2018, a conclusione dell’inchiesta, la Polizia di Stato ha eseguito
una misura restrittiva nei confronti di 39 soggetti dediti al traffico
internazionale di stupefacenti. In una prima tranche sono
stati arrestati affiliati al gruppo CILIONE, originario di
Melito Porto Salvo-RC, attivo principalmente nello spaccio di droga nel
quartiere milanese di Bonola e a Robbio; nonché soggetti affiliati al gruppo CADEMARTORI-PONZO (contiguo
ad alcuni sodalizi mafiosi etnei, in particolare ai clan PILLERA-PUNTINA, LAUDANI, CURSOTI che
avevano il compito di organizzare l’importazione dello stupefacente) e al clan napoletano GIONTA.
In una seconda tranche, sono stati tratti in arresto gli
uomini legati ai gruppi LUONGO di Manfredonia (FG)
e BARBARO di Platì (RC), protagonisti dello spaccio di droga
nel quartiere milanese di San Siro. Le indagini hanno posto in
risalto l’estrema capacità di tali gruppi di entrare in connessione tra loro
per il raggiungimento di un obiettivo comune.
(9) Operazione White Iron, conclusa nel gennaio 2018 con il
sequestro di 80 kg di cocaina presso lo scalo portuale
di Livorno, la sostanza, prodotta in Colombia, era stata occultata in
un container proveniente dal Cile. L’attività si è conclusa il
successivo 27 luglio con l’esecuzione di un provvedimento cautelare (OCCC n.
694/18 RGNR e 3043/18 RG GIP emessa il 25 luglio 2018 dal Tribunale di Livorno)
nei confronti di tre soggetti, tra i quali un esponente sinti della
famiglia CIARELLI – DI SILVIO, attiva a Latina e legata
ai CASAMONICA.
Operazione Santa Fè del giugno 2015, la procura di Reggio Calabria
ha smantellato un'organizzazione criminale che coinvolge le FARC
(Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e la 'ndrangheta.
Un traffico di cocaina che dal cuore della foresta Amazzonica colombiana arriva
fino ai porti italiani di Gioia Tauro, Livorno,
Genova e Vado Ligure. Quarantadue arresti, 38 in Italia e quattro in
Spagna, oltre quattro tonnellate di cocaina sequestrate e
milioni di euro tolti dalle mani di un’organizzazione mafiosa che, capeggiata
dalle 'ndrine Alvaro, Pesce e Acquino-Coluccio,
si estendeva fino all’America Latina.
Da tenere presente, infine, anche gli ingenti
sequestri di merce contraffatta.
Questo, ad esempio, è il resoconto della Guardia di
Finanza relativo ai provvedimenti adottati nello scalo marittimo di Livorno
nei primi 7 mesi del 2012:
• 53 milioni di falsi sequestrati;
• 6mila responsabili
denunciati;
• 94
affiliati ad organizzazioni criminali dedite al falso
arrestati (italiani nel 41% dei casi);
• 2
milioni di euro al giorno di giro d'affari dell'economia
criminale.
NB: considerati gli importanti sequestri, laddove non
sono stati individuati i narcotrafficanti, è più che plausibile che la sostanza
stupefacente era “movimentata” da organizzazioni criminali, anche di stampo
mafioso, sia italiane sia straniere.
3. DIPENDENTI INFEDELI
Come messo in evidenza dalla DCSA nella sopracitata
relazione del 2019, la criminalità organizzata può avvalersi di
“aderenze” nello scalo portuale di Livorno. Ciò è stato appurato
nell'ambito di alcune delle operazioni di polizia sopra indicate.
Nello specifico:
Operazione Vulcano
Associazione per delinquere, aggravata dalla
transnazionalità, finalizzata al traffico illecito di sostanza stupefacente del
tipo cocaina per conto delle potenti cosche di ‘ndrangheta MOLÈ,
PIROMALLI, ALVARO e CREA, che si avvalevano di
operatori portuali infedeli che, sfruttando le mansioni esercitate all’interno
degli scali portuali, effettuano, dietro precise disposizioni, l’apertura dei
container d’interesse nonché il prelievo del carico illecito.
Operazione Akuarius.
L’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza hanno
concluso l’operazione “Akuarius” (Proc.pen. 2514/14 NR e
4723/16 GIP del Tribunale di Firenze nonché 4566/16 NR e 2535/16 GIP del
Tribunale di Livorno), che ha fatto luce su un sodalizio dedito al
narcotraffico tra i Paesi dell’America latina e il porto di Livorno. L’indagine
ha evidenziato l’intreccio tra soggetti residenti nella provincia di Livorno,
tra i quali due guardie giurate in servizio nel porto di Livorno, ed
elementi della ‘ndrangheta della provincia di Vibo Valentia.
L’organizzazione
si occupava di tutta la parte logistica e organizzativa delle importazioni
di stupefacente imbarcato su navi provenienti dal sud America,
provvedendo, con la necessaria partecipazione di personale
portuale, a far uscire fuori dagli spazi doganali la droga senza
particolari intoppi.
Oltre alle
suddette operazioni, si segnalano i seguenti altri fatti, avvenuti nell'ambito
portuale:
“Affari in nero all'ombra del porto di Livorno”
30 ottobre
2015 - I militari del comando provinciale della Guardia di Finanza di Livorno
hanno tratto in arresto tre persone, di cui due residenti a Livorno ed una ad
Empoli, ritenute responsabili, di reati fiscali e bancarotta. Gli arrestati
sono i cugini L. B. (del 1963) e R. B. (del 1965) e G. F. (del 1971). Le accuse: falso in fatture,
occultamento delle scritture contabili, omesso versamento di ritenute e
presentazione delle dichiarazione dei redditi infedeli, simulazione di reato
nonché, soprattutto, fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e
documentale, collegati al fallimento (dichiarato dal Tribunale di Livorno tra
novembre 2014 e febbraio 2015) di due società labroniche operanti nel
settore della logistica. Un giro d’affari di circa 2 milioni di euro
annui, attraverso una trentina di dipendenti, si occupavano di ritirare
autovetture in arrivo al porto di Livorno, per custodirle, in
attesa che le stesse fossero prelevate da altra società, estranea alle
indagini, la quale, a sua volta, ne effettuava la distribuzione presso vari
concessionari del territorio nazionale.
(Fonte: http://www.livorno24.com/evasione-per-7-milioni-di-euro-tre-arresti/)
Banda dei
suv
15 gennaio 2016 “LIVORNO. ... dipendenti
infedeli pronti a chiudere un occhio in cambio di favori e denaro, quello
che emerge dall’inchiesta sulla presunta associazione per delinquere che
ha messo a segno, e soprattutto ha progettato, una serie di furti di
auto, in particolare Suv, dai piazzali del porto di Livorno...il
piano criminale ideato dai vertici dell’organizzazione composta - secondo gli
investigatori – da F. B., 36 anni, M. C., 54, S. N.,
52, e due stranieri ancora ricercati dalla polizia, aveva bisogno di una sacco
di tasselli che dovevano combaciare perfettamente, soprattutto temporalmente,
affinché tutto potesse filare liscio: bastava che una delle tessere non fosse
al posto giusto e il puzzle, com’è avvenuto più di una volta, non si
completava, e il colpo andava rimandato. Prima di tutto, infatti,
bisognava individuare le auto da far sparire, poi affittare la bisarca e
organizzare il viaggio sapendo già dove piazzare i Suv, meglio se all’estero.
Ma soprattutto, pianificato tutto questo, c’era chi, la notte prescelta per
compiere il furto, doveva alzare la sbarra per far entrare la bisarca
nel piazzale, e chi fornire i moduli, i cosiddetti
interchange, necessari poi per far uscire le vetture dal porto di
Livorno. Tra il settembre del 2014 e il novembre dello scorso anno...la
banda avrebbe pianificato sette diversi furti, ma uno solo è andato a buon
fine. I sedici indagati, alcuni dei quali dipendenti di ditte che
lavorano in porto - secondo gli investigatori - si sono resi
disponibili e hanno in qualche modo dato la loro disponibilità nelle sei
occasione successive...”
(Fonte:https://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2016/01/14/news/dipendenti-infedeli-cosi-la-banda-dei-suv-faceva-i-furti-in-porto-1.12777944)
Da tenere in
considerazione, infine, la “Relazione sulla gestione” del 2013 della Porto
Livorno 2000 S.r.l..
Nel
documento si mette in evidenza che “gli esercizi 2006 e 2007 sono stati
caratterizzati soprattutto dai risultati dell’ispezione della Guardia di Finanza -
Nucleo Polizia Tributaria di Livorno iniziata il 01/03/2007 e terminata il
27/03/2008”. La questione riguardava “una grave situazione di
irregolarità nella gestione amministrativa”.
Di seguito
si riporta la parte di interesse, contenuta nella relazione:
<<...dopo
gli iniziali controlli di routine, il 23 aprile del 2007 era stato redatto un
primo puntuale resoconto delle operazioni compiute su una serie di fatture di
favore, emesse da ditte fornitrici della Società Porto di Livorno 2000 S.r.l. –
in specie le Società A.L.A. S.r.l., Cooperativa Europa, le ditte individuali
Giorgio Parlagreco, Pier Luigi Grilli e Silvano Marino - cui non corrispondeva l’effettiva
prestazione dei servizi e delle forniture descritte nelle fatture: tutto ciò
per importi assai rilevanti che risultavano tuttavia pagati dalla Società ai
fornitori. Il progredire delle verifiche portava a configurare ipotesi
di reato nei confronti del Presidente del Consiglio di Amministrazione Bruno
Lenzi e di altri suoi collaboratori, inizialmente rubricate nel decreto di
perquisizione e sequestro emesso dal Procuratore della Repubblica f.f. dr.
Antonio Giaconi in proc. n. 2167/07 RGNR nel quale si ipotizzano a carico degli
indagati i reati di cui agli artt. 81, 110, 117 e 314 cp, “in quanto sussistono fondati
elementi desunti dalle indagini svolte dalla Polizia Giudiziaria
operante per ritenere che Lenzi Bruno nella sua qualità di incaricato di
pubblico servizio, in virtù delle cariche dirigenziali apicali ricoperte in
seno alla Porto di Livorno 2000 S.r.l. in concorso con gli altri, che talvolta
agivano quali mandatari, si sia appropriato di denaro di detta società di cui
ha avuto disponibilità in ragione del suo incarico, avendo effettuato prelievi
reiterati sistematici e caratterizzati da artificiose giustificazioni contabili
dalle casse della società tramite un conto anticipo spese per acquisti
personali o comunque per scopi estranei alla attività sociale”.
Gli ulteriori accertamenti svolti
dalla Polizia Tributaria, ed in particolare i verbali delle ulteriori
operazioni di controllo eseguite i giorni 14, 15, 23, 24, 28, 29.5.2007 e
14.6.2007 evidenziavano l’annotazione nelle scritture contabili della Società
relative agli anni 2004, 2005 e 2006, di fatture non corrispondenti ad
operazioni effettivamente eseguite, che di per sé esponevano la Società a gravi
conseguenze sanzionatorie per le indebite deduzioni/detrazioni di imposta e che
dissimulavano al contempo illecite distrazioni di risorse della Società.
Dagli stessi verbali risultava,
inoltre, l’effettuazione di commercio e di cessioni di opere d’arte, estranei
all’oggetto sociale della PortoLivorno 2000 S.r.l., da parte del Presidente
Lenzi alla stessa Società Porto di Livorno 2000 S.r.l., in situazione di
conflitto di interesse fra Amministratore e Società .
Venivano poi accertati movimenti
anomali, per importi del tutto ingiustificati, su un “conto anticipo” delle
spese del Presidente Lenzi, con somme che venivano prelevate per acquisti
estranei agli scopi sociali e che figuravano poi periodicamente reintegrate
perlopiù con operazioni anomale (dal pagamento diretto da parte di Lenzi di
fatture emesse da fornitori della società per prestazioni non eseguite, a
cospicui versamenti da lui effettuati per contanti sui conti della Società,
alla compensazione con crediti vantati dallo stesso Lenzi per la cessione di
dipinti alla Società).
Il quadro che appariva dai
verbali della G.d.F. era il seguente:
1) sovrafatturazioni;
2) fatture per lavori mai
eseguiti;
3) fatture inesistenti che non
trovavano corrispondenza dal fornitore;
4) fatture per lavori mai svolti
che avevano una descrizione diversa nella contabilità del fornitore.
Parte delle fatture erano state
capitalizzate come lavori di manutenzione sia su beni propri che di terzi,
altre avevano interessato il conto economico.
Nel Bilancio 2006 si è, perciò,
provveduto ad una serie di rettifiche, che hanno portato ad una perdita
complessiva di Euro 5.098.591,00.
L’accertamento della Polizia
Tributaria si è concluso con la comunicazione del verbale finale in data
27.03.2008, che ha stimato l’importo delle fatture emesse per prestazioni
inesistenti o altrimenti non rese alla Società o comunque estranee alla sua
gestione in Euro 461.801,00 per l’anno 2003, in Euro 943.810,75 per l’anno
2004, in Euro 1.760.429,54 per l’anno 2005, in Euro 2.158.669,17 per l’anno
2006, in Euro 57.540,00 per l’anno 2007; per tali importi, oltre che per il
risarcimento dei danni riflessi, si è operata la costituzione in mora dei
componenti del Consiglio di Amministrazione e del Collegio Sindacale nei mesi di
agosto e settembre 2008.
Nel dicembre del 2008 è stato
definito con l’Agenzia delle Entrate un accertamento con adesione relativo agli
anni di imposta 2003, 2004, 2005 e 2006 che ha consentito di definire le
sanzioni applicate in relazione alle maggiori imposte accertate, con un onere
di Euro 160.053,62 per l’anno 2003, di Euro 261.670,46 per l’anno 2004, di Euro
561.965,36 per l’anno 2005, e di Euro 159.673,94 (più Euro 63.102,00) per
l’anno 2006 per un totale di Euro 1.206.466,59...
Esercizio dell’azione penale
Appreso della pendenza di
indagini preliminari da parte della Procura della Repubblica, la Società ha
incaricato un Legale di sua fiducia di compiere gli atti necessari ad
assicurare la procedibiltà dei reati, ad acquisire le prove degli illeciti ed a
conservare le garanzie patrimoniali della società.
Fra il giugno del 2007 ed il
maggio del 2008 la Porto di Livorno 2000 S.r.l. ha sporto cinque atti di
querela per reati di appropriazione indebita con riguardo ai fatti che venivano
progressivamente accertati, col proposito di costituirsi parte civile nel
processo penale nei confronti di coloro che avessero concorso alla commissione
degli illeciti.
Dopo la proposizione della prima
querela, la Porto di Livorno 2000 S.r.l. ha richiesto fra l’altro nel giugno
del 2007 un provvedimento di sequestro probatorio sulle opere d’arte lasciate
da Bruno Lenzi nella Sede della Società: decreto che il Pubblico Ministero ha
adottato con riguardo a tutti “i quadri e le altre eventuali opere d’arte
esistenti presso la società della Porto di Livorno 2000 S.r.l. nominando
custode delle stesse l’attuale Amministratore Unico dr. Asti”, trattandosi “di
corpo di reato o, comunque, cose pertinenti al reato utili per le indagini”. Il
GIP, con decreto in data 15.3.2010 ha convertito quel sequestro probatorio in
sequestro preventivo e con la sentenza di patteggiamento pronunciata il
16.3.2010 con la quale ha applicato la pena a Bruno Lenzi (di cui infra) ha
disposto la confisca di “tutti i beni mobili già sottoposti a sequestro preventivo
in data 15.3.2010” [...].
La pronuncia di confisca è
divenuta definitiva a seguito del rigetto da parte della Cassazione
del ricorso di Lenzi contro il provvedimento di confisca, con sentenza del 22
febbraio 2011.
Successivamente con provvedimento
del 16 gennaio 2012 il GIP del Tribunale di Livorno in parziale accoglimento
del ricorso della Società ha revocato il provvedimento di confisca per 24
dipinti dei quali è stata comprovata la proprietà della Porto di Livorno 2000
S.r.l., disponendone la restituzione alla Società.
La Porto di Livorno 2000 S.r.l.
si era rivolta alla Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione
dei Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC), cui
sembrava spettare l’amministrazione delle opere d’arte e degli oggetti da
collezione confiscati a Bruno Lenzi, perché procedesse alla loro vendita nelle
forme e con le garanzie di legge, allo scopo di soddisfare i diritti della
Porto Livorno 2000 S.r.l., persona offesa dal reato, al risarcimento dei danni
subiti per effetto delle condotte illecite che hanno determinato la confisca,
come previsto dall’art. 12-sexies, comma 4 bis, del D.L.
8.6.1992 n. 306 (come modificato da ultimo dal D.L. 4.2.2010 n. 4)...
...Quanto al procedimento penale,
a conclusione delle indagini preliminari il Pubblico Ministero aveva richiesto
il rinvio a giudizio di 44 indagati per plurimi reati. Nei confronti di Bruno
Lenzi, del dipendente Luca Garzelli e degli ex dipendenti Armando
Totini e Bruno Crocchi il Pubblico Ministero aveva contestato
il reato di associazione a delinquere in concorso con Massimo ed
Ilaria Fraddanni (titolari della ditta Factory), e di Michele Barzagli
(intermediario con l’amministratore della ALA S.r.l. Andrea Ferretti per
l’emissione di fatture inesistenti); ai medesimi Lenzi, Crocchi, Totini,
Garzelli, Fraddanni, oltre che al consigliere Mauro Pacini limitatamente
all’utilizzo indebito di una carta di credito aziendale, aveva contestato plurime
condotte di indebita appropriazione di risorse della società; a tutti i
componenti del Consiglio di Amministrazione e del Collegio Sindacale aveva
contestato il reato di false comunicazioni sociali; ai fornitori Bruno Sani,
Salvatore Daini, Silvano Marino, Pier Paolo Carboni, Mario Madiai, Elisa
Padrevecchi, Bruno Baracco, Ilaria Fraddanni, Massimo Fraddanni, Paola Lupi,
Michela Rocco, Gino Bonomo, Michela Marmeggi, Ivano Busoni, Marco Busoni, Pier
Luigi Neri, Pier Luigi Grilli, Enrico Grilli, Roberto Cioni, Enrico Tresoldi,
Giorgio Parlagreco, Achille Gemini, Onofrio Sposaro, Andrea Ferretti, Riccardo
Lenzi, Secondo Panieri aveva contestato plurimi reati fiscali per l’emissione
di false fatture e per l’omesso versamento dell’IVA riscossa; al sig. Roberto
Cascavilla aveva contestato infine il reato di cui all’art. 346 cod. pen.
(millantato credito) per essersi fatto consegnare da Bruno Lenzi e da Bruno
Crocchi somme destinate ad ufficiali della Guardia di Finanza millantando che
costoro avrebbero potuto condizionare in senso favorevole alla Società lo
svolgimento degli accertamenti fiscali in corso...
...Successivamente, molti degli imputati nei cui confronti era stata operata
la costituzione di parte civile hanno patteggiato la pena, così determinando
l’estromissione della domanda civile proposta in sede penale con la
costituzione di parte civile: fra coloro che hanno patteggiato vi sono Bruno
Lenzi ed il figlio Riccardo, Armando Totini, Giorgio Parlagreco, Marino
Silvano, Luca Garzelli, Ilaria Fraddanni, Massimo Fraddanni, Marco Busoni,
Enrico Tresoldi, Mario Madiai; hanno inoltre patteggiato la pena altri
fornitori nei cui confronti pende azione civile quali Bruno Sani (legale
rappresentante della Cooperativa Europa) ed Andrea Ferretti (legale
rappresentante della A.L.A. S.r.l.). Quanto a Michele Barzagli, egli ha chiesto
invece di essere giudicato con rito abbreviato – rito che la Porto di Livorno
2000 S.r.l. non ha accettato agli effetti della pronuncia sulle domande civili
- ed è stato poi assolto per il reato associativo contestatogli, mentre è stato
condannato per reati fiscali che non coinvolgono però la Porto di Livorno 2000
S.r.l. bensì altra società. Per poter beneficiare delle attenuanti generiche
nel patteggiamento della pena Riccardo Lenzi ha offerto a titolo di riparazione
per le conseguenze del reato contestatogli l’importo di € 6.500 che la Porto di
Livorno 2000 S.r.l. ha accettato in conto del maggior avere.
Sono stati, invece, rinviati a
giudizio i sindaci revisori, Beccani, Masi, Angella e Pappalardo e gli
amministratori Pacini, Spadoni, Giovannini e Salvadori oltre all’ex dipendente
Bruno Crocchi; fra i fornitori, nei cui confronti Porto di Livorno 2000 S.r.l.
si è costituita parte civile, sono stati rinviati a giudizio Salvatore Daini,
Ivano Busoni, Gino Bonomo, Achille Gemini, Michela Marmeggi, Secondo Panieri,
Pierpaolo Carboni, Bruno Baracco e Pierluigi Neri. Sono poi stati trasmessi per
competenza territoriale alla Procura di Pisa gli atti relativi alla posizione
di Elisa Padrevecchi...
...Collegio Sindacale
Nel corso del mese di agosto 2007
furono esaminati tutti i verbali del consiglio di amministrazione nonché quelli
del collegio sindacale dal 2003 per capire le ragioni che avevano portato ad
una simile situazione.
Si procedette alla stesura di un
documento di sintesi nel quale erano riassunti i punti salienti dei controlli fatti
od omessi dal collegio sindacale: avuto riguardo all’entità ed alla
reiterazione nel tempo delle pratiche distrattive accertate dalla polizia
Tributaria, apparve indifferibile sollecitare le dimissioni del
collegio per ragioni di opportunità.
Poiché, inizialmente, i sindaci
in carica non furono disponibili a rassegnare le loro dimissioni volontarie, fu
acquisito un parere legale per valutare se vi fossero i presupposti per la
revoca; fu convocata una assemblea per deliberare tra l’altro la revoca del
collegio, che avrebbe dovuto essere poi confermata dal Tribunale.
Prima dell’assemblea del
18/09/2007 i componenti del collegio si convinsero a presentare le loro
dimissioni e fu quindi nominato il nuovo collegio.
Responsabilità di dipendenti
della società
Le indagini di Polizia Tributaria
e le parallele verifiche condotte dall’Amministratore Unico hanno rivelato
condotte civilmente illecite dei dipendenti Bruno Crocchi ed Armando Totini,
produttive di un rilevante danno al patrimonio sociale.
Dopo aver operato le dovute
contestazioni disciplinari, senza che i dipendenti fornissero convincenti
giustificazioni, è stato intimato ad entrambi il licenziamento – a Crocchi nel
settembre ed a Totini nel dicembre del 2007 - misura che entrambi hanno
impugnato solo in sede stragiudiziale...>>
(Fonte: http://www.portolivorno2000.it/uploads/BIL13_03_RELAZIONE_GESTIONE_2013.pdf)
4. OPERAZIONI POLIZIA PORTO LIVORNO:
ELENCO CLAN COINVOLTI
CRIMINALITÀ ORGANIZZATA CAMPANIA |
Nr. |
CLAN |
PROVENIENZA |
1 |
Birra- Iacomino |
Ercolano (NA) |
2 |
Casalesi |
Casal di Principe (CE) |
3 |
Fabbrocino |
San Giuseppe Vesuviano (NA) |
4 |
Gionta |
Torre Annunziata (NA) |
CRIMINALITÀ ORGANIZZATA CALABRIA |
Nr. |
CLAN |
PROVENIENZA |
1 |
Alvaro |
Sinopoli (RC) |
2 |
Acquino-Coluccio |
Marina di Gioiosa Ionica (RC) |
3 |
Avignone |
Taurianova (RC) |
4 |
Barbaro |
Platì (RC) |
5 |
Bellocco |
Rosarno (RC) |
6 |
Cilione |
Melito Porto Salvo (RC) |
7 |
Crea |
Rizziconi (RC) |
8 |
Fiarè |
San Gregorio d’Ippona (VV) |
9 |
Mancuso |
Limbadi (VV) |
10 |
Nirta-Strangio |
(San Luca - RC) |
11 |
Papaniciari |
(fraz. Papanice di Crotone) |
12 |
Paviglianiti |
San Lorenzo (RC) |
13 |
Pesce |
(Rosarno - RC), |
14 |
Piromalli-Molè |
Gioia Tauro (RC) |
15 |
Piscopisani |
(Piscopio – VV) |
16 |
Pititto-Prostamo-Iannello |
Mileto (VV) |
CRIMINALITÀ ORGANIZZATA SICILIA |
Nr. |
CLAN |
PROVENIENZA |
1 |
Cursoti |
Catania |
2 |
Laudani |
Catania |
3 |
Pillera-Puntina |
Catania |
CRIMINALITÀ ORGANIZZATA PUGLIA |
Nr. |
CLAN |
PROVENIENZA |
1 |
Luongo |
Manfredonia (FG) |
CRIMINALITÀ ORGANIZZATA LAZIO |
Nr. |
CLAN |
PROVENIENZA |
1 |
Ciarelli-Di Silvio (Casamonica) |
Latina- Roma |
5. DICHIARAZIONI PENTITI 'NDRANGHETA E
STRAGE DI LIVORNO (MOBY PRINCE)
Francesco Fonti, nato a Bovalino (RC), il 22 febbraio
1948, deceduto il 5 dicembre 2012, è stato affiliato alla 'ndrina
Romeo di San Luca (RC), per poi pentirsi nel 1994, anno in cui iniziò
a collaborare con la giustizia.
Fonti, tra le altre cose che raccontò ai magistrati, iniziò
a parlare del commercio clandestino di rifiuti tossici e sulle navi a
perdere affondate nel Mediterraneo con il loro carico nocivo.
Nel resoconto della Commissione parlamentare sul
traffico illecito dei rifiuti (https://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/023/021/d020.htm), si legge:
[…] La prima operazione cui partecipò Fonti
Francesco risale al 1986.
All'epoca il Fonti si trovava in Emilia Romagna per gestire il traffico di
droga della famiglia San Luca in Emilia Romagna e in Lombardia. Venne
contattato da Musitano Domenico (capo della famiglia Musitano di
Platì) il quale si trovava all'epoca a Nova Siri con obbligo di dimora; il
Musitano gli disse che dovevano fare sparire 600 fusti contenenti
rifiuti tossici e radioattivi provenienti dal centro Enea di
Rotondella e che la richiesta proveniva dal dottor Candelieri del medesimo
centro. Il Fonti avrebbe dovuto organizzare la fase del trasporto e della
collocazione dei fusti, ricevendo in cambio 660 milioni di lire. La famiglia
Romeo diede il benestare. Successivamente, però, il Musitano venne
ucciso dalla ’ndrangheta davanti al tribunale di Reggio Calabria ove era stato
convocato per un'udienza. L'operazione di illecito
smaltimento riprese a partire dal gennaio
1987 (10 e 11 gennaio). Vennero utilizzati 40 camion, reperiti anche
grazie all'aiuto di Arcadi Giuseppe, genero di Musitano Domenico, e i fusti
avrebbero dovuto essere portati al porto di Livorno e caricati su una
nave chiamata Lynx, di proprietà di una società maltese e noleggiata da una
società riconducibile a Renato Pent. Poiché nella stiva della nave entravano
solo 500 fusti...[…]
Il pentito della ’ndrangheta aveva dichiarato anche che una
delle navi era stata fatta inabissare “nel mare davanti a
Livorno”, con il suo carico di scorie farmaceutiche.
L'enorme mole di informazioni fornita dal
collaboratore Francesco Fonti sulla questione, però, non ha sortito grandi risultati.
Ciò è avvenuto anche sulle due navi della Shifco (società di diritto somalo
proprietaria di sei imbarcazioni donate dal Governo italiano al paese africano) a
Livorno nel 1992, la "Mohamuud Harbi" e l "Osman Raghe",
che sarebbero state caricate, a dire di Francesco Fonti, oltre che di rifiuti
tossici, anche di 75 casse di kalashnikov, 25 casse di munizioni, 30
mitragliette Uzi, che arrivavano dalla fabbrica ucraina Ukrespets Export, a
bordo della nave "Jadran Express" con bandiera maltese, che fece
scalo a Trieste.
Occorre mettere in evidenza che la "21 Oktobar
II", ammiraglia della suddetta flotta Shifco, almeno nel 1991, era
presente in rada a Livorno, ormeggiata nel porto già da diversi giorni, quando
avvenne avviene la collisione tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip
Abruzzo.
Fonti ha parlato anche di contatti con i servizi segreti,
quando negli affari si era inserita anche la 'ndrina De Stefano di
Reggio Calabria. Ciò avveniva, a dire del pentito, quando doveva essere
discussa la possibilità di smaltire le scorie. Secondo le dichiarazioni di
Fonti, il contatto dei servizi, tale “Pino”, gli avrebbe riferito “di averla
fatta pagare personalmente a colui che aveva coperto tante cose per quel dramma
di Livorno”. In quella circostanza, Fonti associò la cosa alla strage
del Moby Prince.
In merito il direttore dell'AISI, Giorgio Piccirillo,
audito nel luglio 2011 dalla Commissione di inchiesta sulle attività illecite
connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, dichiarava
della mancanza di riscontro, all'interno dei servizi, di un funzionario con
tale nominativo.
Dichiarazioni del pentito della 'ndrangheta Filippo
Barreca.
Il 6 agosto 2020, su Il Fatto Quotidiano,è stato
pubblicato l'articolo “Il pentito: Così la 'ndrangheta avvertì e salvò
l'agente di Moro”. Simona Zecchi, autrice del pezzo, scrive delle
dichiarazioni sulla strage di Via Fani, rilasciate dal pentito
'ndranghetista Filippo Barreca e fa anche un passaggio che esula
dall'argomento trattato. La giornalista, infatti, scrive: “...Il collaboratore di giustizia Barreca è ormai senza
protezione dal 2017, così come i suoi familiari, nonostante le sue
dichiarazioni sin dal 1992 siano ancora ritenute rilevanti per i diversi
processi che sono stati istruiti nel corso degli anni fino a oggi, e nonostante
sia ancora chiamato a testimoniare: così almeno è avvenuto fino al giugno 2020
per la strage della nave Moby Prince (10 aprile 1991) data ultima indicata dal
suo avvocato nelle carte della causa che Barreca ha intentato contro il
ministero dell’Interno...”.
Barreca, nelle sue
dichiarazioni, avrebbe fatto riferimento a una presunta “fruizione o controllo di un mercato a mare notturno” di “prodotti
illegali” nel porto di Livorno da parte della criminalità organizzata
e avrebbe fatto alcuni riferimenti alla strage della Moby
Prince.
Chi è Filippo Barreca.
Filippo Barreca, nato il 4 gennaio 1947 a Pellaro
(RC), è stato boss dell'omonima 'ndrina, con dote di “santa” ricevuta da Santo
Araniti (santista e massone, capobastone della cosca che prende nome dal suo
cognome) nel 1979. Barreca si pente l'8 gennaio 1992 mentre era in
carcere a Cuneo per una condanna a 9 anni di reclusione per traffico di
sostanze stupefacenti e inizia a collaborare nell'operazione denominata “Santa
Barbara”. Il collaboratore di giustizia ha disvelato, insieme all'altro pentito
Giacomo Lauro, i retroscena dell'omicidio di Lodovico Ligato, della seconda
guerra di 'ndrangheta e ha contribuito alle indagini sull'omicidio di Antonino
Scopelliti. Le sue rivelazioni sono state utili anche nelle operazioni
“Olimpia”.
6. SCALO PORTUALE E ARMI
Il porto di Livorno è luogo strategico e
crocevia per l'invio di armi verso il Medio Oriente e
l’Africa. Questo avviene, soprattutto, a causa della vicinanza al
porto di Camp Darby, base logistica Usa in Europa, il più
grande deposito di mezzi militari e armamenti al di fuori degli Usa.
Più volte associazioni, sindacati (AMPI, ARCI e CGIL)
e gli stessi portuali hanno denunciato la gravità di questa situazione,
ribadendo anche che: “nei dieci punti per la
sicurezza in porto, seguito da assemblee e ribadito in svariati incontri con la
Regione e gli attori del protocollo: la promiscuità fra traffico turistico e
commerciale è un pericolo costante e non rispetta la più elementare
prevenzione”. Lo hanno fatto anche a gennaio di quest'anno, dopo
“il nuovo” incidente di un pullman turistico entrato in collisione
con un mezzo militare adibito ai controlli delle banchine.
7. OPERAZIONI DI POLIZIA IN PROVINCIA
DI LIVORNO
Appare utile mettere in evidenza anche la situazione
della provincia di Livorno rispetto alle presenza di organizzazioni criminali
di tipo mafioso.
Di seguito, si segnalano alcuni dei fatti più
rilevanti:
• Dicembre 1991, i Carabinieri di Livorno
hanno arrestato Gaspare Mutolo - mafioso
palermitano in soggiorno obbligato a Gavorrano (GR) - e altre 20
persone per associazione finalizzata al traffico di sostanze
stupefacenti. L’indagine ha consentito di fare luce su un vasto traffico di
sostanze stupefacenti tra le province di Livorno, Pisa,
Grosseto, Napoli e Reggio Calabria.
• Gennaio 1998, arrestato a Livorno il latitante Raffaele
Ferrara del clan camorristico dei casalesi.
• 6 ottobre 1993, Tribunale di Firenze, Ufficio del
GIP, Sentenza nei confronti di Angelucci Monica + 17: “Nel settembre
del 1992 il colonnello Fronzoni, della Guardia di Finanza, aveva accertato che
in Val di Nievole, e in provincia di Livorno e
di Pisa erano state costituite delle ‘decine’ da parte
di varie cosche siciliane che operavano su più fronti,
compreso quello delle rapine”.
• 2001, Relazione della Commissione
parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia si legge: “… ‘ndrangheta … a
Livorno e Lucca operano i clan dei Fedele”
(ndr: Michelangelo Fedele, di Rizziconi - RC, radicato dagli
anni '70 a Castagneto Carducci, in provincia di Livorno,
era collegato alla 'ndrina Piromalli).
• Ottobre 2006, operazione Marata, l’attività
investigativa, avviata dalla DIA di Firenze alla fine del 2002 in
collaborazione con il GICO della Guardia di Finanza, ha consentito di accertare
l’esistenza di un’associazione di tipo mafioso - capeggiata da un
soggetto, già esponente della nuova camorra organizzata e uomo
di fiducia di Raffaele Cutolo - con base operativa
nell’isola d’Elba e dedita alla perpetrazione di vari delitti, tra cui
in particolare usura ed estorsioni. A conclusione delle indagini, il GIP
del Tribunale di Firenze ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in
carcere nei confronti di 7 persone indagate per i reati di cui agli artt. 416
bis, 629 e 644 c.p. nonché un decreto di sequestro preventivo di beni per un
valore complessivo di 8 milioni di euro.
• Aprile/maggio 2008, operazione Intercity, la
Polizia di Stato di Lucca ha arrestato 17 persone ritenute responsabili di
traffico di stupefacenti. Gli investigatori della Squadra Mobile hanno
sequestrato un ingente quantitativo di cocaina. Il gruppo criminale
campano, della famiglia Chierchia, detta dei
Fransuà, alleati del clan Gionta, raggiungeva
la Toscana per rifornire di droga la Versilia, Livorno e Massa.
• Maggio 2008, l’operazione Trans Oceanic ha
permesso di individuare una vasta organizzazione
criminale specializzata nel riciclaggio di denaro, provento
della vendita di droga. Condotta dai Carabinieri del Nucleo Operativo di
Milano l’indagine è stata eseguita in numerose città: Milano, Roma, Napoli,
Genova, Verona, Trento, La Spezia, Pavia, Pescara, Bergamo Ancona, Parma,
Torino, Como, Monza, Rimini, Arezzo, Livorno, Massa Carrara e nel
corso di essa sono stati arrestate 155 persone dominicane, sudamericane e
italiane (campane e calabresi).
• 2011, Relazione della DNA: “Una serie di
episodi come il ritrovamento, a Firenze, di due fucili a pompa, numerose
pistole, munizioni e un passamontagna in una stazione di rifornimento gestita
da un calabrese legato alle cosche della Piana di Gioia Tauro, l’arresto a
Certaldo di un soggetto degli Alvaro di Sinopoli, la residenza
in Livorno di un boss della cosca Morabito di Africo, la presenza di altri
personaggi legati ai Mancuso, la vicenda di cui è
protagonista Crea Giuseppe cugino di Crea Teodoro capo
dell’omonima cosca di Rizziconi, confermano che quello della regione
Toscana è un territorio in cui la 'ndrangheta penetra per
realizzare il riciclaggio ed il reinvestimento dei capitali illeciti” (NB:
le 'ndrine Alvaro, Crea e Mancuso, citate nel documento DIA, sono
tra quelle individuate nelle operazioni avvenute nel porto di Livorno).
• Marzo 2012, GICO di Firenze e Livorno, sequestrati
beni riconducibili al clan Terracciano. Il blitz delle
fiamme gialle rientra nell’ambito dell’inchiesta sul clan Terracciano. I
militari del GICO di Firenze hanno scoperto che il clan aveva ramificazioni
anche a Livorno con un’attività commerciale e un’imbarcazione.
Il negozio si trova in piazza Grande: fa capo al gruppo fiorentino, secondo gli
investigatori, legato direttamente ai Terracciano. All’interno sono in vendita
vestiti di grandi firme. Quanto allo yacht, si tratta di un’imbarcazione di 12
metri da 300mila euro, intestata a una donna di cui porta il nome Naomi, che
secondo quanto emerso dall’indagine, sarebbe parente di uno dei prestanome
dei Terracciano.
• Gennaio 2013, operazione Mixer, la Guardia
di Finanza ha eseguito un provvedimento di sequestro beni per 15 milioni nei
confronti di cinque imprenditori della provincia di Palermo, arrestati
nell’aprile 2009 con l’accusa di associazione mafiosa e truffa
aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Secondo le indagini,
con l’appoggio delle famiglie mafiose madonite, i cinque
imprenditori avrebbero controllato l’assegnazione degli appalti pubblici e
privati. Molti dei beni sequestrati si trovano in Toscana ed,
in particolare: a Firenze, in provincia di Lucca, a Livorno, a
Prato e a Sinalunga (SI).
• 17 dicembre 2013, indagine coordinata dalla
direzione distrettuale antimafia di Napoli, per intestazione fittizia di
beni, in concorso, con aggravante di aver agito per agevolare clan
camorristici (Casalesi e Belforte di Marcianise). Tra gli arrestati
anche un 48enne residente a Cecina (LI). L'uomo risulterebbe
infatti proprietario fittizio di una società di vigilanza con sede
a Rosignano Marittimo (LI). I militari hanno anche provveduto al sequestro
di cinque conti correnti e quattro mezzi intestati alla società. Nell'ambito
della stessa indagine i carabinieri hanno poi sequestrato anche i beni
di un'altra società a Livorno, impegnata in servizi di portierato,
il cui titolare è stato arrestato a Caserta.
• 10 gennaio 2014, sequestro società
con sede a Livorno disposto dall'AG di Caltanissetta. L'imprenditore
palermitano titolare dell'azienda era ritenuto in contatto con esponenti di
spicco di cosa nostra.
• 2014, proc. pen. n. 98/2014 vede
imputato un soggetto originario di Gela residente a Livorno, accusato dei
delitti di estorsione continuata, consumata e tentata, e violenza privata,
commessi, con l'aggravante del metodo mafioso, di cui all’art. 7 L. n.
203/1991. Il predetto è fratello in danno di due persone, padre e figlio,
titolari di una società proprietaria di una tabaccheria a Livorno. Le indagini
hanno consentito di verificare che l'imputato, subito dopo aver stipulato con
le persone offese un contratto preliminare di acquisto della società da loro
gestita, attraverso reiterate minacce, li costringeva, ad assumere nella
tabaccheria il proprio fratello, già condannato per il delitto di cui
all’art. 416 bis c.p. in quanto appartenente alla famiglia mafiosa Iannì di
Gela (Stidda), ed all’epoca detenuto nel carcere di Rebibbia a seguito di
condanna definitiva all’ergastolo, in modo da fargli ottenere il beneficio
della semilibertà.
• 7 maggio 2015 - Province di Caserta e Livorno -
L’Arma dei Carabinieri ha eseguito un decreto di sequestro preventivo -
emesso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (CE) - nei confronti di
un imprenditore affiliato al clan Belforte. Il
provvedimento ha riguardato 2 società site in Livorno, 4
appartamenti e 1 autorimessa ubicati in Capua (CE), per un valore complessivo
pari a 1.700.000 euro.
• 2 marzo 2016, la Direzione Investigativa
Antimafia di Firenze, ha sequestrato un rilevante patrimonio
mobiliare, immobiliare e societario, per un valore stimato di oltre 3
milioni di euro, nei confronti di un imprenditore calabrese che da anni
aveva trasferito i propri interessi economici in Toscana. Le investigazioni
hanno consentito di accertare come il predetto, coadiuvato da “prestanome”,
avesse effettuato, nel tempo, ingenti investimenti societari e/o immobiliari a
Firenze e a Prato, in mancanza di una lecita capacità reddituale. Le
ricostruzioni effettuate dagli investigatori hanno messo in evidenza, in
particolare, il frequente ricorso allo strumento contabile del c.d.
“finanziamento soci” che ha consentito alla società di disporre di capitali
senza ricorrere al mercato finanziario. Nello specifico, tale liquidità veniva
travasata nelle casse delle imprese direttamente dai soci, quale forma di
auto-finanziamento, mediante un sofisticato sistema di reimpiego di capitali
acquisiti illecitamente. Gli uomini della D.I.A. di Firenze, al termine di
approfonditi accertamenti, hanno così potuto ricostruire la reale capacità
patrimoniale del soggetto. In tale contesto, è stata, inoltre, accertata
l’esistenza di un flusso di denaro verso la Calabria in favore del reggente
della ‘ndrina Giglio di Strongoli (KR), sul quale sono in
corso ulteriori approfondimenti investigativi. Il provvedimento, eseguito nelle
province di Crotone, Firenze e Prato, ha portato al sequestro preventivo di: -
nr. 9 società; - nr. 3 bar-pasticcerie; - nr. 1 ristorante-pizzeria; - nr. 7
appartamenti; - nr. 5 beni mobili registrati (autoveicoli e motoveicoli); - nr.
42 rapporti bancari, tra conti correnti, libretti di deposito e dossier titoli.
• 25 marzo 2016, Piombino, la Guardia
di Finanza esegue la confisca di beni, disposta dal Tribunale di Livorno,
nei confronti di Giuseppe Ruocco, 55 anni, considerato
dagli investigatori un elemento di spicco della camorra di
Mugnano (Napoli), sulla base delle dichiarazioni del fratello
(collaboratore di giustizia). Giuseppe Ruocco detto Peppe era stato condannato
anche a venti anni dalla Corte di Assise di Napoli per aver partecipato al
commando che il 18 maggio 1992 firmò la strage di Secondigliano. Il 29 novembre
2013 Giuseppe Ruocco fu assolto in appello ma condannato a sette anni e quattro
mesi per il tentato omicidio.
• 22 dicembre 2017, 59 persone rinviate a giudizio e
20 aziende coinvolte per lo smaltimento illecito di rifiuti, nell'ambito
di un filone dell’inchiesta chiusa dalla Dda di Firenze. Nell'inchiesta è
coinvolta anche la Veca Sud, già
sottoposta ad
altre indagini (anche Tav Firenze), poiché ritenuta dagli
investigatori “strettamente collegata ad ambienti della
criminalità organizzata di tipo camorristico e in particolare ai clan dei
Casalesi e alla famiglia Caturano”.
• 13 aprile 2018, il già citato
Michelangelo Fedele, residente a Castagneto Carducci (LI), è stato
condannato a 12 anni per il reato di usura, nel processo di primo grado,
scaturito dall'indagine denominata “Real Estate”. L'inchiesta, condotta dal
2013 da carabinieri e finanzieri, coordinati dalla procura di Livorno, ha
portato all'arresto del Fedele, avvenuto il 9 marzo 2015.
• 31 maggio 2018, la Guardia di finanza livornese,
coordinata dal procuratore Ettore Squillace Greco, ha arrestato il vice
prefetto reggente dell'Isola d'Elba, Giovanni Daveti, 66 anni, e Giuseppe
Belfiore, 61 anni, più volte coinvolto in inchieste per associazione di
tipo mafioso ed esponente di spicco della 'ndrina Belfiore.
L'operazione ha disarticolato un'associazione per delinquere finalizzata alle
frodi fiscali ed altri reati finanziari. L'alto esponente della prefettura
labronica avrebbe chiesto aiuto alla 'ndrangheta per evadere il fisco. Dopo un
accertamento tributario, infatti, aveva ricevuto cartelle esattoriali per 115
mila euro. Nel mese di marzo 2019, l'ex vice prefetto, Giovanni Daveti, è
stato condannato, in primo grado, a 4 anni e 8 mesi dal tribunale di Livorno.
• 12 luglio 2018, arrestato il latitante
Giovanni Morabito,49 anni di Africo (RC), figlio del capobastone
della 'ndrina Morabito di Africo. Si era reso irreperibile dal
mese di maggio, mentre era sottoposto a sorveglianza speciale con obbligo di
soggiorno a Livorno dal 2017 sule suo conto numerosi precedenti, tra cui
associazione di stampo mafioso.
• 27 febbraio 2019, i Carabinieri del
Comando Provinciale di Livorno, su ordine della Procura della Repubblica di
Livorno, hanno dato il via all’operazione codificata “2 Mondi”, dando
esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del locale
Tribunale, su richiesta della stessa Procura, nei confronti di 10 persone,
italiane ed albanesi, ritenute responsabili del reato di “traffico illecito di
sostanze stupefacenti”, localizzate nelle province di Livorno e Pisa.
L’indagine, avviata nel giugno del 2016, con l’esecuzione delle misure odierne
ha portato all’arresto complessivo di 22 persone, al deferimento in stato di
libertà di 26 ed al sequestro di oltre 130 kg. di stupefacenti. Il gruppo
indagato è risultato essere il canale di rifornimento di due trafficanti di
origine napoletana dimoranti sull’isola d’Elba. Quest’ultimi, legati a clan
camorristico Tommaselli, operante nel quartiere napoletano di Pianura,
acquistavano lo stupefacente dai cittadini albanesi e lo rivendevano sulla
piazza di spaccio elbana. Nel corso delle indagini è stato documentato anche il
ricorso ad azioni di violenza nei confronti di concorrenti per imporsi nell’illecito
mercato dell’isola.
• 9 aprile 2019, operazione “rimpiazzo”, la Polizia
di Stato di Vibo Valentia, in collaborazione con la questura di Catanzaro, con
il servizio centrale operativo e con il coordinamento dalla Procura antimafia
di Catanzaro, ha arrestato 30 persone (clan dei Piscopisani e alcuni
esponenti della 'ndrina Mancuso) in varie città d'Italia
(Livorno, Vibo Valentia, Reggio Calabria, Palermo, Roma, Bologna,
L'Aquila, Prato, Alessandria, Brescia, Nuoro, Milano e Udine). Le
persone finite in manette sono accusate di associazione di
tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione,
danneggiamento, rapina, detenzione, porto illegale di armi ed
esplosivi, lesioni pluriaggravate, intestazione fittizia di
beni, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.
• 27 giugno 2019, la Guardia di finanza ha
denunciato l'amministratore di una società fiduciaria livornese è
stato denunciato per omessa segnalazione di una sospetta operazione di riciclaggio del
denaro sporco. Durante un controllo antiriciclaggio, i militari Gdf hanno
individuato un contratto relativo al mandato per costituire, intestarsi e
amministrare un'azienda pistoiese attiva nel settore della ristorazione, il cui
fiduciante era un casertano affiliato al clan dei casalesi e indagato
dalla Dda di Firenze per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di
denaro sporco, alla corruzione, a frodi e truffe.
8. OPERAZIONI POLIZIA PROVINCIA
LIVORNO: ELENCO CLAN COINVOLTI
CRIMINALITÀ ORGANIZZATA CAMPANIA |
Nr. |
CLAN |
PROVENIENZA |
1 |
Belforte |
Marcianise (CE) |
2 |
Casalesi (vedasi anche Porto) |
Casal di Principe (CE) |
3 |
Chierchia |
Torre Annunziata (NA) |
4 |
Gionta (vedasi anche Porto) |
Torre Annunziata (NA) |
5 |
Nco |
Napoli |
6 |
Terracciano |
Napoli |
7 |
Tommaselli |
Napoli |
CRIMINALITÀ ORGANIZZATA CALABRIA |
Nr. |
CLAN |
PROVENIENZA |
1 |
Alvaro (vedasi anche Porto) |
Sinopoli (RC) |
2 |
Belfiore |
Gioiosa Ionica (RC) |
3 |
Crea (vedasi anche Porto) |
Rizziconi (RC) |
4 |
Giglio |
Strongoli (KR) |
5 |
Mancuso (vedasi anche Porto) |
Limbadi (VV) |
6 |
Morabito |
Africo (RC) |
7 |
Piromalli (vedasi anche Porto) |
Gioia Tauro (RC) |
8 |
Piscopisani |
(Piscopio – VV) |
CRIMINALITÀ ORGANIZZATA SICILIA |
Nr. |
CLAN |
PROVENIENZA |
1 |
Cosa nostra |
|
2 |
Famiglie madonite (cosa nostra) |
Provincia Palermo |
3 |
Stidda |
Gela (CL) |
9. Conclusioni
Appare evidente che l'area portuale di Livorno, da
anni, è diventata snodo strategico dei traffici illeciti, a livello
internazionale.
I sequestri di sostanze stupefacenti, di rifiuti di
ogni tipo, hanno raggiunto livelli inimmaginabili.
E' indubbio che il merito di questi risultati debba
essere dato a Forze di polizia e magistratura, che hanno sempre posto la
massima attenzione all'attività di contrasto alla criminalità organizzata nel
territorio.
Il susseguirsi dei casi (vedasi tabella), però, è
indicatore del fatto che il Porto di Livorno ha molte falle
nella sicurezza; una sicurezza che dovrebbe essere ai massimi
livelli, considerato che il porto di Livorno è luogo strategico e
crocevia, come detto, per l'invio di armi verso il Medio Oriente e l’Africa.
Il documentato coinvolgimento di dipendenti infedeli,
poi, ha influito notevolmente sull'aumento di fatti criminali. Così come
precisato dalla DCSA, “l’individuazione del porto prescinde dall’area criminale
di interesse e dal territorio controllato dall’organizzazione, ma
avviene sulla base delle aderenze che la stessa può garantirsi, anche
all’estero, nonché delle capacità logistiche, di controllo e gestione di
società di trasporto merci, non solo per via marittima...”.
La forte presenza di organizzazioni criminali italiane
e straniere, anche di tipo mafioso, la collaborazione tra esse, è un altro
aspetto rilevante da mettere in evidenza. Le organizzazioni mafiose hanno
coinvolto nei traffici criminali, addirittura, gruppi criminali del luogo.
Le alleanze, le collaborazioni tra mafie, è un aspetto
assai importante ed è stato documentato nelle varie operazioni di polizia che
si sono susseguite in questi ultimi anni, poiché hanno dimostrato la centralità
della Toscana, e in particolare del porto di Livorno, nel traffico
internazionale di stupefacenti, in particolare cocaina, in ingresso in Europa e
organizzato in gran parte dalla ‘ndrangheta. Appare evidente, infine, mettere
in evidenza che trattandosi di traffici su larga scala sia per i quantitativi
sia per le rotte di rifornimento, è palese che le organizzazioni criminali si
siano insediate stabilmente nel territorio labronico e toscano.
MOVIMENTI
PORTI DI LIVORNO E PIOMBINO
Il porto di
Livorno di cui si è parlato in modo approfondito in un altra parte del report,
ha movimentato 11.663.000 tonnellate di merci (navigazione internazionale) e
18.602.000 tonnellate di merci (navigazione di cabotaggio).
Dati 2018
fonte Calendario Atlante De Agostini (2021).
Il Porto di
Piombino ha movimentato 1.977.000 tonnellate di merci (navigazione
internazionale)
e 1.516.000
tonnellate di merci (navigazione di cabotaggio).
Dati 2018
fonte Calendario Atlante De Agostini (2021).
Dai suddetti
dati si evince che la movimentazione annuale delle merci è rilevante data
l'importanza strategica di entrambi porti.
A breve sono
previsti dei lavori (e relativi appalti) con degli stanziamenti importanti, per
non correre rischi sarebbe necessario applicare preventivamente un protocollo
sul modello Antoci per ridurre il rischio di infiltrazioni criminali.
PIOMBINO - VAL DI CORNIA
Piombino è un comune italiano
dI 33.348 abitanti della provincia di Livorno in Toscana. Centro principale
della val di Cornia e principale polo dell'industria siderurgica in Toscana, è
il secondo porto della Toscana dopo quello di Livorno...
La città è posta nel
tratto di costa sud della Toscana, all'estremità meridionale sull'omonimo promontorio
(m. 21), a sud del monte Massoncello (286m) e chiusa ad est dal monte Vento; è
separata dall'isola d'Elba dal canale di Piombino, largo 10 km, che costituisce
il tratto di mare che segna il confine orientale tra mar Ligure e mar Tirreno;
il litorale all'estremità settentrionale del territorio comunale, che coincide
col golfo di Baratti, si affaccia sul mar Ligure, mentre il litorale
sud-orientale si affaccia sul mar Tirreno e coincide col tratto
nord-occidentale del golfo di Follonica...
Il porto di Piombino è
un porto di livello internazionale inserito nelle autostrade del mare.
Importante scalo merci è dotato di grandi banchine e piattaforme industriali.
La principale attività del porto di Piombino è però quella della movimentazione
dei passeggeri (5° porto passeggeri italiano): è infatti l'unico imbarco per
l'Isola d'Elba, con le tratte Piombino-Portoferraio, Piombino-Rio Marina,
Piombino-Cavo, servite dalle compagnie Toremar, Moby Lines, Corsica Ferries e
BluNavy; vi si effettuano anche imbarchi per la Sardegna (Piombino-Olbia,
Piombino-Golfo Aranci) e la Corsica (Piombino-Bastia, Piombino-Portovecchio) e
l'isola di Pianosa. Lo sviluppo del porto prevede la nascita di un importante
polo per la cantieristica navale.
Attualmente il porto
di Piombino ha una profondità che varia dai 7 ai 20 metri, è delimitato a Sud
da un molo sopraflutto, denominato Batteria, a Nord dal pontile degli
stabilimenti siderurgici. Per le altre attività merci, soprattutto prodotti
derivati dalla lavorazione degli stabilimenti, vengono utilizzati i pontili
"Magona" e "Trieste". Per quanto riguarda i traghetti per
l'Isola d'Elba essi impiegano il molo "Dente Nord",la banchina
"aliscafo",il molo "Elba Nord","Elba Sud",i due
scivoli (solo in casi di sovraffollamento) il molo "Trieste" e,
sporadicamente il molo "Batteria". Per i passeggeri diretti in
Sardegna e Corsica e le navi ro-ro viene usato il molo "Batteria" e,
sporadicamente il "Giuseppe Pecoraro". Per quanto riguarda il
traffico passeggeri a metà degli anni novanta un profondo rinnovamento
infrastrutturale per l'accoglienza e la regolamentazione dei passeggeri ha
permesso al porto di Piombino di divenire una struttura moderna e funzionale.
Per quanto riguarda le merci, la situazione attuale del porto risente
fortemente della presenza degli insediamenti siderurgici, che condizionano la
struttura e lo sviluppo dell'impianto attuale.
L'Autorità Portuale
sta cercando di sviluppare strutture anche per merci diverse da quelle
siderurgiche. Le attuali vie di comunicazione e la ristrettezza degli spazi
però rappresentano ardui ostacoli a questo sviluppo. Le strade che collegano il
porto alla strada statale nr. 1 Aurelia, confluiscono, in località Gagno e per
circa un Km, in una sola via di transito, per giunta a due sole corsie; la S.S.
398 a quattro corsie rappresenta la soluzione al problema ma è stata finora
realizzata solo per la metà lato entroterra mentre la restante tratta (la più
importante perché permetterebbe anche di oltrepassare la strozzatura del Gagno)
esiste solo sotto forma di progetto definitivo.
La Ferrovia Campiglia
Marittima-Piombino Marittima che collega il porto alla linea Livorno-Grosseto
è, nella tratta Piombino Marittima - Piombino - Fiorentina di Piombino, non
concepita per un traffico intenso di merci. L'amministrazione provinciale di
Livorno e quella comunale di Piombino stanno anche valutando la possibilità di
utilizzare i fanghi della bonifica dello stabilimento siderurgico di Bagnoli,
al fine di effettuare riempimenti a mare ed ampliare così, anche se in modo
piuttosto invasivo, il retroporto, tale progetto non è però ancora diventato
esecutivo.
Fonte wikipedia
ESTRATTO - COMMISSIONE
PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI
E SU ILLECITI AMBIENTALI AD ESSE CORRELATI
Approvata dalla
Commissione nella seduta del 28 febbraio 2018
Le attività di
contrasto
Con la relazione del 23
giugno 2017 (doc. 2083/1/2), il comando del carabinieri del NOE di Grosseto
riferisce che l’area portuale di Livorno e quelle adiacenti, che compongono in
gran parte il locale sito di interesse nazionale (SIN), si confermano obiettivi
particolarmente sensibili sotto il profilo ambientale, anche pel’elevata
concentrazione di impianti e di industrie a rischio di incidente rilevante.
Con riferimento al
settore degli appalti pubblici in ambito portuale, una particolare attenzione è
stata rivolta dal NOE, nell’anno 2014, al cantiere per i lavori di
realizzazione della cosiddetta “Seconda vasca di colmata”, oggetto di indagini
delegate dall’autorità giudiziaria di Livorno, conclusasi con la denuncia in
stato di libertà di 7 persone, ritenute responsabili, a vario titolo, di
condotte integranti le ipotesi di reato di abbandono/deposito incontrollato di
rifiuti e di discarica abusiva, di cui all’articolo 256, commi 2 e 3, decreto
legislativo n. 152 del 2006, per aver gestito illecitamente circa 112.000
tonnellate di rifiuti inerti provenienti da impianti di recupero, indebitamente
trattati come materia prima seconda, “misto riciclato”, al fine di renderlo
formalmente idoneo alla posa in opera per la realizzazione dei sottobacini.
Ulteriori casi di
gestione illecita di rifiuti e di abbandono di rifiuti, di cui all’articolo
256, comma 1 e 2, decreto legislativo n.152 del 2006, sono stati riscontrati
negli anni 2015 e 2016 nell’ambito delle opere per la realizzazione delle
darsene e delle attività di dragaggio dei fondali del porto turistico di
Cecina.
Altra importante
attività, con riferimento alla cava di argilla sita in località Staggiano, nel
comune di Collesalvetti, è stata svolta - a partire dal luglio 2014, sino al 27
marzo 2015 - su delega dell’autorità giudiziaria di Livorno e si è conclusa con
la denuncia di 5 persone, in stato di libertà, tutte a vario titolo ritenute
responsabili di gestione illecita di rifiuti, di cui all’articolo 256, comma l,
lett. a), del decreto
legislativo n. 152 del 2006, nonché con il sequestro preventivo dell’area di cava.
Inoltre, in data 25
maggio 2016, all’interno dell’area delle Acciaierie e Ferriere di Piombino, a
seguito di esposto anonimo pervenuto al reparto dei carabinieri, è stato
eseguito un sopralluogo
ispettivo nei cantieri
di una società incaricata dello smantellamento di impianti dismessi, il cui
amministratore unico è stato denunciato in stato di libertà all’ autorità
giudiziaria di Livorno per il reato di gestione illecita di rifiuti, di cui
all’articolo 256, comma l, lett. a), decreto legislativo n. 152 del 2006, per
aver gestito, in carenza di autorizzazione, kg. 2.570 di rifiuti speciali non
pericolosi costituiti da apparecchiature elettriche fuori uso (CER 16.02.16),
realizzando uno stoccaggio risalente all’anno 2011. Nella circostanza, è stata
attivata la procedura estintiva del reato, previa ammissione al pagamento della
sanzione amministrativa prevista dagli artt. 318 ter e seguenti del decreto
legislativo n. 152 del 2006.
L’impianto di TMB
Anche l’impianto di
trattamento meccanico biologico (TMB), ubicato nell’area della discarica di
Piombino, utilizzato esclusivamente per l’attività di trasferenza (operazione
RI3) del rifiuto urbano indifferenziato destinato al successivo trattamento, è
stato oggetto di mirate attività, svolte dal Reparto del NOE in data 13 luglio
2015, a seguito della presentazione di un esposto anonimo, conclusasi
conl’accertamento dei reati di abbandono di rifiuti e di violazione delle
prescrizioni contenute nell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), di cui
agli articoli 256, comma 2 e 29 quattuordecies, decreto legislativo n. 152 del
2006 e con la denuncia in stato di libertà dell’amministratore unico della
società di gestione dell’impianto.
Nella specie, erano
stati stoccati circa 300 metri cubi di rifiuti inerti (CER 17.09.04) in area
non autorizzata ed erano stati abbandonati sul suolo rifiuti liquidi (CER
20.03.04 fanghi di fosse settiche), con pregiudizio per l’ambiente. Nella
circostanza è stata attivata la procedura estintiva del reato previa ammissione
al pagamento della sanzione amministrativa prevista dagli artt. 318 ter e
seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Lo stabilimento della
Solvay di Rosignano Marittimo
Nel più ampio contesto
delle attività industriali inquinanti ricadenti nel territorio della provincia,
in collaborazione con personale del NAS carabinieri di Livorno, il NOE ha
svolto indagini sull’attività dell’industria “Solvay Chimica Italia Spa”,
delegate dalla procura della Repubblica in Milano, competente in quanto la sede
legale della società è posta nel comune di Bollate (MI). All’esito di tali
indagini, con accesso all’impianto eseguito in data 26 febbraio 2016, è emersa
l’inefficienza, sia pure temporanea, della barriera idraulica. Le indagini sono
scaturite da una serie di esposti e denunzie presentati da ex dipendenti
dell’industria chimica, affetti da patologie verosimilmente correlate alla
prolungata esposizione a fibre di amianto o agli ambienti di vita e di lavoro
inquinati dal processo produttivo, ovvero da familiari di ex dipendenti
deceduti per patologie della medesima natura.
Sulla base delle
evidenze documentali e analitiche e dei riscontri effettuati nel tempo, è
emerso che in passato l’attività dello stabilimento ha causato una estesa
situazione di inquinamento delle
acque sotterranee, sia
superficiali che profonde. Gli interventi attivati negli anni hanno consentito
di scongiurare una deriva particolarmente grave del fenomeno di inquinamento in
atto, legato a una contaminazione storica, contenendo i danni più rilevanti dell’area
interna allo stabilimento.
L’iter amministrativo
per il processo di bonifica è stato avviato nel mese di marzo 2001, mediante la
presentazione alla regione Toscana, alla provincia di Livorno e al comune di
Rosignano Marittimo della comunicazione ai sensi dell’articolo 9 del D.M. 471
del 1999, volta a procedere alla caratterizzazione dell’area. Il piano di
caratterizzazione è stato approvato nel mese di novembre 2001, quale piano di
investigazione preliminare, al quale fare seguire piani di dettaglio per
ciascuna attività produttiva. I tempi di realizzazione dello stesso erano stati
fissati in quattro anni.
Successivamente, sono
stati elaborati piani di dettaglio che hanno permesso di caratterizzare più
precisamente tutte le aree presenti all’interno dello stabilimento. Negli anni
si sono poi succedute numerose conferenze di servizi, con la presentazione di
ulteriore documentazione e integrazioni degli atti, fino all’approvazione, con
decreto dirigenziale n. 195 del 18/11/2013 del comune di Rosignano Marittimo,
del progetto di bonifica e di messa in sicurezza operativa delle acque
sotterranee e profonde, che prevede l’impiego di un sistema di barrieramento
idraulico, che abbraccia l’area a valle dello stabilimento.
Il progetto operativo
risulta essere stato elaborato a seguito dell’approvazione, con decreto
dirigenziale n. 181 del 07/11/2012 del comune di Rosignano Marittimo, di un
documento di analisi di rischio specifica per la matrice ambientale
interessata, che tra l’altro contiene la prescrizione di “impedire l’ulteriore
propagazione della contaminazione, verificando le concentrazioni dei
contaminanti nei piezometri a valle della barriera idraulica”. I primi
accertamenti sugli impianti della Lonzi Metalli srl e della RA.RI Livorno srl
Prima di affrontare le ultime vicende processuali, che vedono il pieno
coinvolgimento dei gestori delle società Lonzi Metalli srl e RA.RI Livorno srl
in reati di assoluta gravità, che hanno portato il GIP del tribunale di Firenze
all’emissione, in data 1° dicembre 2017, di un’ordinanza applicativa di misure
cautelari nei confronti dei responsabili delle due aziende, nonché al sequestro
preventivo delle stesse (misura che è stata eseguita in data 13 dicembre 2017),
va detto che le due società erano state già, negli anni passati, oggetto di
indagini da parte dei carabinieri del NOE di Grosseto.
A tale proposito, il
comandante Umberto Centobuchi, nel corso dell’audizione del 7 novembre 2017, ha
riferito di una indagine nei confronti della RA.RI. Livorno srl per traffico
transfrontaliero
di rifiuti. Il NOE di
Grosseto aveva eseguito delle ispezioni nel febbraio del 2015 e, da ultimo, nel
giugno del 2017, in quanto la RA.RI. Livorno srl figurava come soggetto
notificatore di esportazione di rifiuti, per lo più pericolosi, che venivano
conferiti in siti di destinazione che risultano situati in Germania, in
Danimarca, Svizzera, Portogallo e Polonia, attraverso alcuni itinerari misti
verificati, cioè in parte con trasporto su strada, interrotto per un trasporto
di linea ferroviaria e poi ripreso su strada.
L’attività svolta dal
NOE è stata soprattutto un’attività documentale di riscontro poiché non si è
mai ravvisato il sospetto che si trattasse di rifiuti a rischio, quindi non è
stato ritenuto mai necessario fare un campionamento, un’intercettazione o un
pedinamento sui carichi di rifiuti che venivano spostati, in quanto da tale
attività non erano emerse anomalie.
Peraltro - ha concluso
sul punto il comandante Centobuchi - la RA.RI. Livorno srl negli anni
successivi aveva proseguito nel trasferimento di rifiuti all’estero, tant’è che
l’ultima notifica è stata
chiusa in data 29
giugno 2017 e riguardava un rifiuto che è andato in Germania, anche questo con
codice CER 19.03.04 “pericoloso”, ovvero rifiuti contrassegnati come
pericolosi, parzialmente stabilizzati, con codice CER 19.03.05. In effetti, tra
i documenti di spedizione vi è una notifica per 8.000 tonnellate di rifiuti
contrassegnati come pericolosi, parzialmente stabilizzati, per un totale di
spedizione di 286 imballaggi sfusi, D05. In ogni caso, si trattava quasi sempre
di miscugli di rifiuti contenenti almeno una sostanza pericolosa.
Vi erano, inoltre,
anche altri rifiuti prodotti dal trattamento meccanico di rifiuti contenenti
sostanze pericolose, compresi materiali misti. Comunque, si trattava ogni volta
di quantitativi ingenti, per ciascuna notifica (da 2.000 tonnellate a 8.000
tonnellate di rifiuti pericolosi).
Ancora, il comandante
Centobuchi ha riferito alla Commissione di un’attività di indagine sulla RA.RI.
Livorno srl, nel periodo 2009-2010, quando il NOE di Grosseto contestò ai
responsabili della società un’ipotesi di attività organizzata per il traffico
illecito di rifiuti.
Tutto era nato
nell’ambito di un’altra indagine, quella che il NOE di Grosseto stava svolgendo
nei confronti della Agrideco srl, società di intermediazione che aveva sede a
Scarlino, ma che operava all’epoca in tutta Italia, con diversi soggetti.
All’epoca, la società Agrideco aveva rapporti, con la discarica di Piombino
gestita da ASIU spa.
All’interno di quelle
indagini, molto complesse e articolate, nell’ambito delle quali vennero
effettuate anche delle intercettazioni telefoniche, i militari del NOE di
Grosseto appresero che presso la discarica di ASIU, a Piombino, in data 23
luglio 2008, sarebbero arrivati tre camion con tre conferimenti di rifiuti
gestiti da Agrideco, come intermediario. In particolare, uno di questi carichi
proveniva proprio dalla RA.RI. Livorno srl. Venne così campionato questo
rifiuto, il quale, effettivamente, risultò un rifiuto ascritto al codice CER
19.03.05 (rifiuti stabilizzati, diversi da quelli pericolosi di cui alla voce
19.03.04). Le analisi di laboratorio eseguite posero in evidenza un superamento
della concentrazione degli idrocarburi totali, con atomi di carbonio maggiori
di 12 e con una concentrazione pari al 3,5 per cento, contro la soglia massima
dello 0,1 per cento.
Ovviamente, di qui
sono partiti, a ritroso, i controlli presso la RA.RI. Livorno, che furono
esperiti fino all’aprile del 2009 al fine di ricostruire il processo produttivo
del rifiuto e la sua provenienza.
Venne quindi escusso
il direttore tecnico, che illustrò in che modo fosse avvenuto tutto il
processo, precisando, tra l’altro, che questo rifiuto arrivava in RA.RI. da una
società denominata La.fu.met, di Villastellone (TO), arrivando con codice CER
19.08.14 (fanghi prodotti da altri trattamenti delle acque reflue industriali,
quindi diversi da quelli di cui alla voce 19.08.13 “pericoloso”). In sostanza,
questo rifiuto arrivava con codice CER 19.08.14 “non pericoloso” (fanghi).
In data 15 e 16 luglio
2008 La.fu.met aveva conferito a RA.RI. circa 60 tonnellate di questo rifiuto,
tra cui c’era quello campionato in occasione dell’ispezione del NOE in ASIU,
insieme agli operatori dell’ARPAT. La.fu.met caratterizzava il proprio rifiuto,
che inviava tra gli altri a RA.RI., come non pericoloso, laddove RA.RI.
effettuava poi le sue analisi a campione. Tuttavia, nonostante la qualifica di
rifiuto non pericoloso, vi era un dato contrastante, posto che nei referti
analitici di La.fu.met veniva indicato sistematicamente che in quel rifiuto vi
era la presenza di sostanze idrocarburiche e di oli minerali, che qualificavano
il rifiuto come pericoloso, in quanto conferivano al rifiuto un carattere di
cancerogenicità, individuato con un codice H7. Oltre a questo, però, il
consulente che collaborava nell’indagine su Agrideco aveva anche espresso delle
forti perplessità sul fatto che nello stesso rifiuto fossero presenti anche
metalli pesanti, che all’epoca caratterizzavano il rifiuto come tossico-nocivo,
quindi come incompatibile con il conferimento nella discarica ASIU. Per di più,
la disamina dei formulari consentì di chiarire che La.fu.met conferiva a RA.RI.
Livorno srl i propri fanghi con codice CER 19.08.14, ma lo faceva per un’operazione
di smaltimento in D15, ossia come stoccaggio di fatto, come discarica
temporanea.
Le analisi
confortavano il fatto che, come tali, i rifiuti potevano e dovevano essere
conferiti alla discarica di Piombino. Tuttavia la RA.RI. non li destinava tal quali
alla discarica di Piombino, ma li inertizzava, attraverso una miscelazione con
cemento, in modo da poter ottenere un altro rifiuto, il rifiuto ascritto al
codice CER 19.03.05 (rifiuti stabilizzati). Tutto ciò per la ragione che RA.RI.
Livorno aveva un’omologa aperta per questo rifiuto con ASIU, sicché, avendo
questa omologa, RA.RI. Livorno faceva cambiare il nome al rifiuto che le
arrivava da La.fu.met e lo conferiva ad ASIU, cambiato di nome, come non
pericoloso. Al fine di realizzare tale operazione, RA.RI. Livorno ometteva di
effettuare le obbligatorie analisi che avrebbe dovuto fare soprattutto nella
parte in cui La.fu.met aveva chiarito nei referti che vi erano delle sostanze
idrocarburiche. Il tutto è stato ricostruito anche per quanto riguarda i volumi
di tonnellate di rifiuti conferiti, pari a circa 12.315 tonnellate, che RA.RI.
Livorno aveva conferito ad ASIU.
Sulla base di tale
quantitativo, della condotta della RA.RI. Livorno e di tutti gli elementi
costitutivi dell’ipotesi di reato che il NOE ritenne di ravvisare, venne fatta
una nota informativa alla procura della Repubblica presso il tribunale di
Livorno. Venne quindi effettuato uno stralcio, partendo dall’indagine che era
sotto la direzione di quella di Grosseto. Vennero richieste anche delle
intercettazioni telefoniche nei confronti dei responsabili di RA.RI., che
furono concesse a distanza di qualche mese ma limitatamente alla durata di
quindici giorni. In tale breve lasso di tempo, il NOE non riuscì ad acquisire
ulteriori elementi di riscontro all’ipotesi di reato. Di conseguenza, essendo
state interrotte anche le attività tecniche di polizia giudiziaria e non
essendo stati acquisiti ulteriori elementi, il fascicolo si è chiuso con
l’archiviazione.
Tra l’altro, anche
all’epoca, era emerso che alcuni di questi rifiuti, nella misura di 876
tonnellate, erano stati conferiti dalla RA.RI Livorno srl alla Lonzi Metalli
srl.
Relativamente
all’impianto della Lonzi Metalli srl, strettamente collegato a quello della
RA.RI. Livorno srl, il comandante Umberto Centobuchi ha riferito che il NOE se
ne era occupato nel 2015, nell’ambito di una delega di indagine della procura
della Repubblica in Livorno che scaturiva da un esposto presentato ai
carabinieri, i quali l’avevano poi trasmesso alla procura della Repubblica.
Sostanzialmente,
nell’esposto venivano lamentate delle problematiche ambientali dovute ad alcune
carenze strutturali e infrastrutturali dell’impianto.
Tali carenze erano
riconducibili soprattutto al mancato collettamento alla fognatura delle acque
nere dell’impianto. Tuttavia, anche in questo caso, l’attività del NOE si fermò
agli accertamenti preliminari e all’acquisizione di informazioni da parte di
persone informate sui fatti, in quanto nel mese di novembre dello stesso anno
2015, personale del comando della polizia municipale di Livorno, insieme a
personale del dipartimento ARPAT locale, aveva effettuato un sopralluogo, con
ispezione e accesso al sito al fine di effettuare delle verifiche e prelevare
campioni di reflui industriali anche in un reticolo idrico superficiale
adiacente allo stabilimento, presso il quale la Lonzi Metalli srl era
autorizzata allo scarico.
Ovviamente,
trattandosi di accertamenti svolti sugli stessi aspetti, per i quali stava
indagando il NOE, veniva informata la dottoressa Tenerani, il sostituto che
aveva concesso la delega, facendo penale in carico ad altro sostituto
procuratore, il dottor Mannucci.presente che, comunque, dalle attività dei
vigili urbani e dell’ARPAT era scaturito un procedimento Anche per la Lonzi Metalli
il comandante Centobuchi ha rinvenuto evidenze di attività di indagine svolte
dal NOE, nel lontano 2006, quando il reparto segnalò alla procura della
Repubblica in Livorno quattro persone, tra cui l’allora amministratore unico
della Lonzi Metalli srl, per l’ipotesi del reato di concorso in falsità
ideologica commessa da privato in atto pubblico con violazione degli obblighi
di tenuta dei formulari. Questo per avere prodotto, intermediato ed effettuato
un trasporto, nonché per avere accettato rifiuti speciali pericolosi,
accompagnati da formulari indicanti dati inesatti relativi alla classificazione
dei rifiuti stessi.
In estrema sintesi, si
è trattato di un’attività ispettiva svolta dai carabinieri del NOE di Grosseto,
durante la quale erano stati intercettati due carichi di rifiuti in ingresso
alla Lonzi Metalli, accompagnati da formulari che attestavano trattarsi di
“assorbenti, materiali filtranti, stracci e indumenti protettivi contaminati da
sostanze pericolose”, rifiuto di cui al codice CER 15.02.02, mentre in realtà,
dall’accertamento vero e proprio sul carico, era emerso che si trattava di
terre e rocce, caratterizzate da forti odori di idrocarburi.
Nell’occasione, erano
stati effettuati campionamenti di questi rifiuti e dalle indagini effettuate
venne accertato che Lonzi Metalli aveva ricevuto, anche nei giorni precedenti,
quantitativi dello stesso rifiuto per un totale di circa 250 tonnellate, sempre
prodotti dalla stessa società, la “È Ambiente”, di Porto Torres (SS), poi
trasportati dalla ditta Salis Trasporti, sempre di Sassari. Si trattava di
rifiuti che erano stati, a loro volta, accompagnati dal medesimo formulario
rinvenuto in all’atto dell’ispezione, che parlava di assorbenti, materiali vari
ed altro, quando viceversa si trattava di terre e rocce.
Parte di questi
rifiuti conferiti, nei giorni precedenti erano stati anche stoccati in un box
della Lonzi Metalli srl, presso il quale furono fatte ulteriori verifiche.
Anche qui il NOE aveva avuto l’ennesimo riscontro che si trattava di terre e
rocce. Era stato quindi operato un sequestro, all’epoca, sia del box, sia degli
autocarri che trasportavano questi rifiuti, con i relativi formulari.
“È Ambiente” è un
produttore di rifiuti (non era intermediario, era proprio produttore), con sede
legale in Porto Torres, zona industriale La Marinella. Poi vi era il
trasportatore, la Salis Trasporti srl, di Sassari e compariva anche un
committente, la Econet srl, mentre il destinatario era la Lonzi Metalli srl.
Gli esiti degli
accertamenti analitici fatti sui campioni prelevati dal personale dell’ARPAT
avevano dato il riscontro atteso, cioè che si trattava di terre e rocce,
contenenti sostanze pericolose, ascrivibili al codice CER 17.05.03,
“pericoloso”.
Alla luce di tutto
quanto emerso, oltre all’effettuazione del sequestro, era stata inoltrata una
nota informativa con la quale venivano deferiti in stato di libertà alla
procura della Repubblica presso il tribunale di Livorno i soggetti intervenuti
nella filiera, a cominciare dal responsabile della “È Ambiente”, quindi
l’intermediario e il trasportatore, per arrivare, infine, all’amministratore
unico della Lonzi Metalli, che all’epoca gestiva l’operazione.
Dall’insieme di queste
vicende emerge un quadro delle due società facenti capo a Lonzi Emiliano
assolutamente non tranquillizzante. Si tratta di due società che hanno da
sempre operato in una situazione che, sul piano della legalità, può essere
definita come borderline. Ulteriori rilevanti sviluppi sulla gestione delle
società emergeranno in seguito alle indagini svolte dalla DDA di Firenze,
nell’ambito del procedimento penale n. 15787/2014 mod. 21 R.G.N.R. (Registro
Generale Notizie di Reato) - DDA Firenze, di cui al paragrafo che segue.
Recenti sviluppi nella
vicenda penale che ha investito la Lonzi Metalli srl e la RA.RI. Livorno srl
Sul punto, appaiono
rilevanti le informazioni fornite alla Commissione dal procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Livorno, dottor Ettore Squillace Greco, il
quale (accompagnato dai marescialli dei carabinieri Elisabetta Parazzini e
Gianluca Baiocchi) nel corso dell’audizione svolta il 18 dicembre 2017 - dopo
aver premesso che nel procedimento penale n. 15787/2014 R.G.N.R. mod. 21 DDA di
Firenze, a carico di Lonzi Emiliano + 11, egli aveva personalmente condotto le
indagini nella qualità di sostituto procuratore applicato alla DDA di Firenze -
ha fornito un quadro accusatorio nei confronti dei responsabili delle due
società particolarmente grave. Nella specie, sono state svolte indagini mirate,
anche mediante un sistema di videosorveglianza dell’impianto della Lonzi
Metalli, nonché controlli specifici che hanno consentito di disvelare
un’attività illecita che veniva svolta in modo continuativo presso gli impianti
della Lonzi e della RA.RI..
A tal fine, il
procuratore della Repubblica ha prodotto un’ordinanza del GIP del tribunale di
Livorno, in data 1° dicembre 2017 (doc. 2594/5), applicativa di misure
cautelari coercitive e interdittive:
1) nei confronti dei
responsabili dell’azienda (Lonzi Emiliano, Palandri Mauro, Fulceri Stefano,
Mancini Anna, Lena Stefano);
2) nei confronti di
conferitori di rifiuti (Bertini Alessandro,
Callegari Paola,
Federghini Agostino);
3) nei confronti di un
trasportatore di rifiuti (Vanni
Alessandro);
4) nei confronti dei
gestori della discarica di Rosignano (Monti Massimiliano e Del Seppia Dunia).
A tutti costoro sono
stati contestati i reati di traffico illecito di rifiuti, di cui all’articolo
260, decreto legislativo n. 152 del 2006, di associazione per delinquere, di
cui all’articolo 416, commi 1 e 2 del codice penale (Lonzi, Palandri, Fulceri,
Mancini e Lena) e di truffa aggravata ai danni della regione Toscana (Lonzi,
Palandri, Fulceri, Mancini e Lena).
Contestualmente, il
GIP ha disposto, con decreto, il sequestro preventivo di tutti i beni aziendali
della Lonzi Metalli srl e della RA.RI. Livorno srl.
Nel corso della sua
audizione, il dottor Ettore Squillace Greco ha riferito che la Lonzi Metalli
srl era autorizzata a trattare i rifiuti non pericolosi ma, caso del tutto
singolare, era stata autorizzata anche a stoccare i rifiuti pericolosi, mentre
la RA.RI. Livorno srl era autorizzata a trattare i rifiuti pericolosi. Sul
punto, il procuratore della Repubblica ha svolto una considerazione di
carattere generale, che prescinde dallo stretto ambito politico-amministrativo
della realtà livornese, rilevando che non costituisce una buona prassi
amministrativa rilasciare delle autorizzazioni che consentono a un impianto di
smaltimento di trattare rifiuti non pericolosi e, contemporaneamente, di
stoccare rifiuti pericolosi, posto che se un impianto tratta rifiuti non
pericolosi, non si ravvisa la ratio dell’autorizzazione a poter stoccare anche
rifiuti pericolosi.
Fatta questa
precisazione, che investe le competenze dell’autorità amministrativa che ha
rilasciato l’AIA, nell’ordinanza del GIP di Firenze (doc. 2594/5) si legge che
la società Lonzi Metalli, presso la sede legale di Livorno in via Limone, ha un
impianto di trattamento di rifiuti ed è, in effetti, in possesso
dell’autorizzazione integrata ambientale n. 107 del 25 giugno 2014, prorogata
il 29 giugno 2015, della provincia di Livorno, in forza della quale la società
poteva eseguire operazioni di deposito preliminare e messa in riserva di
rifiuti urbani, speciali non pericolosi e pericolosi.
In particolare, con
riferimento ai rifiuti pericolosi, l’impianto della Lonzi Metalli era
autorizzato a ricevere rifiuti imballati o confezionati in contenitori, sui
quali, tuttavia, non poteva eseguire alcuna operazione, se non l’eventuale
riconfezionamento o reimballaggio, ove lo stesso fosse risultato danneggiato.
Invero, erano
autorizzate:
- le operazioni di
trattamento di rifiuti speciali e urbani non pericolosi, finalizzate al
recupero, incluso il trattamento di selezione e cernita manuali, meccanica
mediante impianto di selezione automatico, meccanica con macchine operatrici;
- le operazioni di
trattamento di rifiuti speciali e urbani non pericolosi, finalizzato allo
smaltimento come miscelazione, triturazione e adeguamento volumetrico.
Tutto ciò precisato in
fatto, appaiono condivisibili le considerazioni del dottor Ettore Squillace
Greco, secondo cui il meccanismo fraudolento posto in essere dalle due società
coinvolte nelle attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti, sia
stato agevolato da tale doppia autorizzazione, nonché dal fatto che entrambe le
imprese facevano capo allo stesso gruppo di soggetti (ma in realtà allo stesso
soggetto): Lonzi Emiliano.
Invero, le indagini,
svolte con l’ausilio dei carabinieri forestali, hanno consentito di appurare
che la Lonzi Metalli srl miscelava, senza trattamento alcuno, i rifiuti
pericolosi stoccati con i rifiuti non pericolosi e li avviava principalmente
nelle discariche di Rosignano e di Piombino.
Peraltro, con
relazione in data 19 dicembre 2017, il procuratore della Repubblica ha
precisato che i rifiuti non finivano solo nelle discariche di Rosignano e di
Piombino, ma che vi erano anche altre discariche destinatarie dei rifiuti della
Lonzi Metalli srl e della RA.RI. Livorno srl.
In particolare,
nell’intercettazione in cui si fa riferimento a una scuola e ai bambini,
riportata da numerosi organi di stampa, il procuratore della Repubblica ha
riferito che la discarica in cui la RA.RI. Livorno si accingeva a conferire i
rifiuti si trova nel territorio del comune di Montichiari, in provincia di
Brescia e che i due conversanti intercettati si riferivano alla discarica
anzidetta, nonché al fatto che nei giorni precedenti erano stati percepiti
cattivi odori nella zona.
Fatta questa
precisazione, volta ad evitare ulteriori allarmi, il dottor Squillace Greco ha
proseguito il suo intervento, riferendo che la RA.RI. Livorno, che avrebbe
dovuto ricevere e trattare i rifiuti pericolosi, riceveva i rifiuti non
pericolosi, i quali non abbisognavano di alcun trattamento, posto che i rifiuti
pericolosi erano già stati dalla Lonzi Metalli srl miscelati (anziché stoccati)
con i rifiuti non pericolosi. Anzi, spesso accadeva che i camion, che avrebbero
dovuto trasportare i rifiuti pericolosi stoccati per il loro trattamento, in
realtà, partivano vuoti dalla Lonzi Metalli verso la RA.RI., in quanto tutto
era già stato miscelato dalla stessa Lonzi Metalli. In questo giro di rifiuti è
stata rilevata anche la presenza di rifiuti tossici, posto che risultano
smaltiti presso la discarica di Piombino 100 fusti di mercurio. L’obiettivo di
tali operazioni combinate delle due società, che facevano capo alle stesse
persone fisiche, era almeno quadruplice ed era costituito:
1) dal risparmio dei
costi di trattamento dei rifiuti pericolosi e non pericolosi (selezione,
recupero, triturazione e via dicendo);
2) dall’applicazione a
tutti i rifiuti avviati nelle due
discariche anzidette
del codice CER 19.12.12, che assicura il pagamento dell’ecotassa più bassa,
nella misura di euro 2,50 anziché quella di euro 10,50, con conseguente truffa
ai danni della
regione Toscana;
3) dall’indebito
risparmio sull’IVA, in quanto per i rifiuti con codice CER 19.12.12 è prevista
l’aliquota agevolata del 10 per cento, anziché quella generale del 22 per
cento;
4) dai risparmi delle
spese di personale e di manutenzione degli impianti.
Il dottor Ettore
Squillace Greco ha poi precisato che dagli atti risultava che, in effetti,
alcuni lotti di rifiuti del comune di Livorno, dell’ A.Am.P.S. spa finivano in
Lonzi, ma ciò accadeva nell’ambito di un rapporto assolutamente fisiologico e
normale.
Tanto per essere
chiari - come ribadito dal procuratore della Repubblica - allo stato non
risulta nulla di anomalo nel rapporto tra il comune di Livorno, la Lonzi
Metalli e la RA.RI., tant’è che - come si è visto - il sindaco di Livorno ha
usato espressioni positive nei confronti delle due discariche, posto che
l’unico problema era costituito dalla necessità della loro delocalizzazione in
zone diverse da quelle poste ai margini della parte urbana della città di
Livorno, per via dei miasmi e degli incendi che si verificavano con frequenza
presso gli impianti anzidetti.
Il dottor Ettore
Squillace Greco ha parlato di centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti
trattati, costituiti da plastica, carta, da rifiuti urbani di qualsiasi genere
e, in alcuni casi, insieme, ad esempio,
a toner e a mercurio.
Le indagini della procura della Repubblica, tuttora in corso, mirano anche ad
una più precisa determinazione delle quantità, sulla base della gran mole della
documentazione sequestrata.
Quanto agli incendi,
il procuratore della Repubblica ha fatto pervenire alla Commissione di
inchiesta una relazione, in data 20 dicembre 2017 (doc. 2594/4), nella quale è
contenuto un lungo elenco di incendi che, negli anni 2014 e 2015, hanno
coinvolto, in almeno due distinti episodi ciascuno, le discariche di Rosignano
Marittimo, presso REA e di Piombino, presso ASIU, nonché gli impianti della
Lonzi Metalli, in data 8 agosto 2015, e della RA.RI, in data 3 marzo 2015.
Tuttavia, le notizie
relative a tali incendi, in cui sono intervenuti l’ARPA Toscana e/o i Vigili
del Fuoco, non sono state trasmesse alla procura della Repubblica, non essendo
state ravvisate ipotesi di reato, nonostante che le cause non fossero state
determinate. Dalla relazione anzidetta emerge quindi una carenza di
informazioni all’organo inquirente che desta molte perplessità, tanto più alla
luce delle risultanze
emerse nel corso indagini svolte nell’anzidetto procedimento penale.
Appare inoltre
evidente che anche il sistema dei controlli è stato del tutto carente. A tale
proposito, il dottor Ettore Squillace Greco ha citato un episodio, sintomatico
del modo di procedere di ARPA Toscana, rilevando che l’ordinanza di misura
cautelare era stata eseguita in data 14 dicembre 2017 e che il giorno
precedente, presso l’impianto della RA.RI., era intervenuta la stessa ARPA
Toscana, la quale non aveva rilevato se non delle irregolarità di natura
formale, senza ispezionare la baia f), dove invece avrebbe potuto rilevare la
compresenza di rifiuti non pericolosi, misti a rifiuti pericolosi. Tuttavia,
l’episodio forse più rappresentativo dell’intera vicenda è avvenuto proprio il
14 dicembre 2017, quando la polizia giudiziaria si trovava presso l’impianto per
eseguire la misura cautelare. In quel frangente, infatti, furono ben due i
camion che giunsero presso lo stabilimento con il loro carico di rifiuti
pericolosi misti a non pericolosi. L’amara conclusione è che presso i due
impianti il reato di traffico illecito di rifiuti veniva consumato in piena
tranquillità, senza timore di subire controllo alcuno.
Altro episodio
significativo della carenza di controlli, anch’esso riportato dal procuratore
della Repubblica, investe una importante società che si occupa di rifiuti, la
società Waste Recycling, del gruppo Hera, con sede a Santa Croce sull’Arno
(PI), che aveva contatti con la Lonzi Metalli. Nel caso di specie, le
intercettazioni telefoniche eseguite hanno permesso di appurare un rapporto
anomalo con i laboratori di analisi. In questo caso erano state effettuate
delle analisi per un’omologa, ma essendo queste erano fuori norma, il
laboratorio di analisi si era “preoccupato” di chiamare l’interessata per
riferire ciò. Quest’ultima, una volta avvertita, aveva ovviamente provveduto a
rimandare nuovi campioni, sicché le analisi eseguite erano risultate in regola.
In sostanza - osserva il procuratore della Repubblica - si è in presenza di un
sistema che, nel migliore dei casi, vede un mix di acquiescenza e superficialità
da parte dei soggetti deputati alle analisi i quali, anche quando non vi è
prova che siano conniventi con i controllati, di fatto agevolano il perpetuarsi
della violazione delle regole per un tempo indeterminato fino all’arrivo
dell’inchiesta della procura della Repubblica, che finisce con lo svolgere un
ruolo di supplenza rispetto alle carenze dell’autorità amministrativa deputata
al controllo.
L’ordinanza
applicativa di misure cautelari
Occorre, a questo
punto, fare un breve cenno all’ordinanza del GIP distrettuale dell tribunale di
Firenze, in data 1° dicembre 2017, applicativa di misure cautelari coercitive e
interdittive, che sono state eseguite in data 14 dicembre 2017 (n. 3128/2015
del R.G. G.I.P.) L’ordinanza contiene la contestazione agli indagati di più
reati di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: il traffico
della Callegari Ecology srl, il traffico della Teate Ecologia srl, il traffico
della FBN Ecologia srl, il traffico della Federghini Agostino srl e, infine il
traffico della Bra Servizi srl. Inoltre viene contestato il reato di
associazione per delinquere, con il ruolo apicale attribuito a Lonzi
Emiliano e il ruolo di
compartecipi attribuito alla moglie, Mancini Anna, a suo cognato, Fulceri
Stefano, e agli stretti collaboratori dell’attività criminosa, Palandri Mauro e
Lena Stefano.
Le fonti di prova
Le fonti di prova sono
le seguenti:
1) La polizia
giudiziaria, previa autorizzazione del pubblico ministero, ha installato due
telecamere brandeggiabili all’esterno dell’impianto della società Lonzi
Metalli, sito a Livorno in via del Limone n. 76. Le due telecamere sono state
posizionate:
- su traliccio dei
cavi della linea elettrica ENEL, posto di fronte all’ingresso dello
stabilimento, che ha consentito di monitorare l’unico accesso carrabile
all’impianto;
- su un sostegno dei
cavi della linea elettrica ENEL lungo il perimetro esterno della ditta, che ha
consentito di monitorare il piazzale dove venivano effettuate le operazioni di
carico e scarico degli automezzi. L’attività di monitoraggio con le telecamere
presso l’impianto della società Lonzi Metalli è proseguito per oltre sette
mesi.
2) La polizia
giudiziaria, in data 18 dicembre 2015, ha acquisito presso l’impianto della
società Lonzi Metalli la documentazione cartacea relativa ai trasporti di
rifiuti, sia in ingresso che in uscita, effettuati nel mese di dicembre 2015,
prelevando sia i formulari di identificazione rifiuti FIR, sia il registro di
carico e scarico rifiuti. Grazie alle video riprese, soprattutto, quelle prese
in esame del mese di dicembre 2015, incrociate con la documentazione acquisita
nello stesso mese, è stato possibile ricostruire gran parte dell’attività
giornaliera dell’impianto Lonzi e individuare un cospicuo numero di operazioni
illecite compiute sia dai dirigenti e dai dipendenti della Lonzi Metalli srl e
della RA.RI. srl, sia dai rappresentanti delle imprese interessate all’illecito
smaltimento dei propri rifiuti.
3) A tali fonti di
prova vanno aggiunte sia le risultanze delle intercettazioni telefoniche e
ambientali tra presenti tutte, preventivamente o successivamente, autorizzate
dal giudice per le indagini preliminari, sia quelle provenienti dai vari
sequestri effettuati nell’ambito dei procedimenti penali, di volta in volta,
aperti presso le procure della Repubblica di competenza.
Le attività della
società Lonzi Metalli srl
1. La società Lonzi
Metalli, presso la sede legale di Livorno in via Limone, ha un impianto di
trattamento dì rifiuti ed è in possesso dell’autorizzazione integrata
ambientale (AIA) n. 107 del 25 giugno 2014, prorogata il 29 giugno 2015, della
provincia di Livorno, che - come già specificato - le consentiva il trattamento
dei rifiuti speciali non pericolosi e lo stoccaggio dei rifiuti speciali
pericolosi.
2. L’impianto della
società Lonzi Metalli è suddiviso in apposite aree dislocate in varie zone. Ai
margini del piazzale di carico e scarico, lungo la porzione sud est del muro
perimetrale, sono presenti le baie (G1U, G1S, G1M, H), destinate ad accogliere
i rifiuti speciali non pericolosi in ingresso, da sottoporre a trattamento.
Lungo il muro perimetrale, posto a sud, sono presenti le baie (T1, T2, T3, T4,
T5), destinate ad accogliere i rifiuti speciali non pericolosi ottenuti dalle
operazioni di trattamento effettuate presso l’impianto.
Le baie sono separate
l’una dall’altra da barriere in calcestruzzo, con altezza di quattro metri, che
definiscono anche limite massimo volumetrico, in altezza e profondità, per lo
stoccaggio dei rifiuti. Le baie sono destinate a una serie di attività e, in
base ai vari processi produttivi che l’azienda poteva mettere in atto, sono il
punto di partenza o di arrivo dei suddetti processi. Vi sono inoltre baie
denominate “O”, in cui venivano stoccati i rifiuti speciali pericolosi.
3. L’osservazione,
tramite le telecamere, confermate dalle acquisizioni documentali, dai risultati
dei sequestri e dalle intercettazioni telefoniche, ha permesso di accertare la
illiceità del trattamento unitario di rifiuti pericolosi e di rifiuti non
pericolosi, da parte della società Lonzi
Metalli.
In particolare è stato
accertato lo svolgimento di varie condotte criminose alternative, l’una
all’altra, come di seguito rappresentate:
- i rifiuti,
identificati con vari codici, anche pericolosi, entravano nel piazzale della
società e, senza subire alcuno dei trattamenti obbligatori, venivano stivati
direttamente nelle baie T2, T3 e
T4 (preposte allo
stoccaggio dei soli rifiuti identificati con il codice CER 19.12.12, prodotto
dalla stessa società Lonzi Metalli) e nelle baie T1 e T5 (preposte allo
stoccaggio dei soli rifiuti identificati con il codice CER 19.02.03);
- i rifiuti venivano
passati, direttamente, dal contenitore dell’automezzo in ingresso a quello
dell’automezzo in uscita, senza neppure “toccare terra“, per il successivo
conferimento diretto in discarica, con l’obiettivo di pagare l’ecotassa più bassa
in assoluto, senza aver avuto l’onere economico di alcun trattamento, subendo
un semplice il cambio codice identificativo del rifiuto, sempre a favore del
codice CER 19. 12. 12 (o, in alternativa, CER 19.02.03);
- i rifiuti non
venivano neppure scaricati e l’autocarro che li trasportava entrava nel
piazzale della Lonzi Metalli srl, uscendovi, dopo pochi minuti, con la sola
sostituzione del formulario al fine di evitare sia i costi di carico e scarico,
sia i costi di trattamento.
Nella sostanza, la
maggior parte dei quantitativi di rifiuti in ingresso nel piazzale della
società Lonzi Metalli srl non avevano alcun tipo di trattamento, di selezione o
di recupero, necessario per ottenere il rifiuto identificato con codice CER
19.12.12. Questi rifiuti, quindi, falsamente identificati con tale codice
insieme a quelli identificati con codice CER 19.02.03, venivano spesso
miscelati con i rifiuti pericolosi, pervenuti nell’impianto o con rifiuti
pericolosi già in stoccaggio nelle baie, denominate “O”, atte alla messa in
riserva R13 (che avrebbero dovuto contenere al massimo 20 tonnellate di rifiuti
pericolosi), ovvero in deposito preliminare D15, autorizzati in AIA, che
avrebbero dovuto contenere al massimo 140 tonnellate di pericolosi.
4. Un’ulteriore parte
dell’attività della società Lonzi Metalli concerneva la produzione di rifiuto
non pericoloso, classificato con il codice CER 19.02.03. Il trattamento per la
produzione di tale rifiuto avrebbe dovuto assicurare omogeneità di pezzatura e
riduzione in volume. Nella realtà, i rifiuti in uscita dal piazzale,
classificati con il codice CER 19.02.03, non provenivano dall’impianto interno
all’azienda ma venivano composti all’interno del piazzale, miscelando i rifiuti
in entrata con quelli provenienti dalle baie “T”.
5. L’osservazione
tramite le telecamere ha permesso quindi di accertare che le baie T1, T2, T3,
T4 e T5 venivano continuamente alimentate dai rifiuti provenienti dall’esterno,
anche pericolosi, e non venivano mai svuotate completamente. In sostanza, le
baie “T” avrebbero dovuto essere riempite alternativamente e, mentre una era in
fase riempimento, un’altra avrebbe dovuto essere oggetto di procedura di
omologa, ovvero, se già omologata, avrebbe dovuto essere svuotata con
destinazione in discarica, fino al completo esaurimento di tutti i rifiuti in
essa contenuti. Sul punto, occorre precisare che le suddette baie potevano
contenere da 1.000 a 1.500/1.800 tonnellate di rifiuti, variabili in base al
peso specifico. Viceversa, dalla visione delle telecamere, le baie
dell’impianto della società Lonzi Metalli non venivano mai svuotate
completamente, sicché l’azienda attribuiva al rifiuto in uscita un codice e
operava la relativa omologa in modo del tutto arbitrario.
Accadeva, pertanto,
che i rifiuti venivano inviati in discarica, senza essere sottoposti ad alcun
trattamento volto a ridurne la quantità e le dimensioni e senza verificarne la
loro ammissibilità in discarica.
Osserva il GIP
distrettuale del tribunale di Firenze nella sua ordinanza che tale
comportamento non sarebbe stato attuabile, se non con la piena complicità delle
discariche, alle quali venivano conferiti i rifiuti, che venivano dunque
accettati indistintamente, senza alcun controllo o effettuando dei controlli a
campione, peraltro, già concordati con i responsabili della Lonzi Metalli srl.
6. Lo stesso “modus
operandi” veniva utilizzato anche per rifiuti classificati come “pericolosi”,
per i quali è opportuno ricordare che la società Lonzi Metalli risulta avere
l’attività sospesa. Viceversa, detti rifiuti venivano occultati immediatamente
nel cumulo dei rifiuti non pericolosi delle baie e inviati unitamente a questi
in discarica con i codici CER 19.12.12 e CER 19.02.03.
L’illecito profitto
1. La descritta
gestione dei rifiuti ha consentito di conseguire illeciti profitti di notevole
importo. Come si è detto, i rifiuti smaltiti in discarica dalla Lonzi Metalli
srl venivano inviati esclusivamente con i codici CER 19.02.03 e CER 19.12.12, i
quali, in base alla normativa vigente, in quanto sottoposti a trattamenti di
recupero, avevano diritto ad accedere alle riduzioni della cosiddetta
“ecotassa” dovuta dai produttori di rifiuti alla regione Toscana.
L’importo
dell’ecotassa nel 2015 e 2016 è stato fissato, per tonnellata, in 10,33 euro
per i rifiuti con codice CER 19.02.03 e in euro 2,07 per quelli con codice CER
19.12. 12.
I rifiuti inviati in
discarica dalla Lonzi Metalli srl, mediante gli artifici messi in atto dai vari
soggetti interessati, oggi indagati, hanno avuto accesso a tali benefici, pur
non avendone i requisiti, in quanto i rifiuti non venivano trattati, e
avrebbero dovuto, viceversa, versare il contributo nella misura di 25.82 euro
per tonnellata.
Dalla lettura del MUD
relativo all’anno 2015, si rileva che i rifiuti inviati in discarica con codice
CER 19.12.12 sono stati complessivamente pari a 64.700 tonnellate, mentre
quelli con il codice CER 19.02.03 sono stati complessivamente pari a 47.610
tonnellate. Dalla lettura del MUD relativo all’anno 2016 si rileva che i
rifiuti inviati in discarica con codice CER 19. 12. 12 sono
stati complessivamente
pari a 64.852 tonnellate, mentre quelli con il codice CER 19.02.03 sono stati
complessivamente pari a 32.099 tonnellate. Pertanto, calcolando la sola
elusione della ecotassa, la società Lonzi Metalli ha conseguito, nel 2015, un
illecito profitto quantificabile in euro 2.274.104,00 e, nell’anno 2016, un
profitto quantificabile in euro 2.037.448,00 per il complessivo importo stimato
nel biennio anzidetto di euro 4.311.552,00. A tale somma deve essere aggiunto
il risparmio sul pagamento dell’IVA, ridotta in via agevolata dal 22 per cento
al 10 per cento.
2. Inoltre, il mancato
trattamento dei rifiuti ha consentito alla Lonzi metalli srl di gestire
quantitativi giornalieri di rifiuti assai superiori a quelli che erano le
effettive capacità dell’impianto medesimo e delle linee di lavoro utilizzabili,
con la conseguenza che maggiori quantitativi di rifiuti gestiti hanno
determinato un maggior fatturato e, quindi, maggiori utili.
Ancora, l’omesso
trattamento dei rifiuti ha consentito:
- un notevole
risparmio di energia elettrica e di combustibile liquido, con una drastica
riduzione dei costi di gestione dell’impianto stesso;
- il non utilizzo dei
macchinari necessari alle dovute lavorazioni ha ridotto altrettanto
drasticamente i costi della loro manutenzione periodica e i loro eventuali
guasti;
- la riduzione dei
costi relativi al personale dipendente, che è risultato, così, sufficiente in
numero inferiore rispetto a quello che sarebbe stato realmente necessario nel
caso di corretto svolgimento delle lavorazioni dei rifiuti. Inoltre,
l’occultamento dei rifiuti pericolosi nei rifiuti non pericolosi ha consentito
al gruppo il totale abbattimento degli elevati costi di smaltimento di questi
ultimi.
Infine, l’ordinanza
del GIP di Livorno sottolinea, quale conseguenza delle condotte illecite degli
indagati, l’alterazione delle regole di mercato. Invero, il metodo di lavoro
messo a punto dalla Lonzi Metalli srl ha consentito alla stessa società di
operare sul mercato dei rifiuti con costi nettamente inferiori rispetto a
quelli offerti dalla concorrenza, ampliando dì fatto il bacino dei clienti
attratti da condizioni economiche molto più favorevoli, a danno delle imprese
che operavano nella legalità.
Il ruolo della società
RA.RI. srl Livorno
1. La società RA.RI. -
Raccolta Rifiuti Industriali - Livorno srl ha sede legale nel territorio del
comune di Livorno, nella località Picchianti, in via dei Fabbri n. 5/7 ed è
iscritta all’albo gestori ambientali. Il suo impianto è autorizzato, con l’AIA
n. 100 del 12 giugno 2014, allo svolgimento di attività di recupero e
smaltimento di rifiuti pericolosi, con capacità di oltre 10 tonnellate al
giorno e lo smaltimento dei rifiuti non pericolosi con capacità superiore a 50
tonnellate al giorno. Come sopra rilevato, le quote della società RA.RI.
Livorno sono detenute, nella misura del 50 per cento, dalla società Lonzi
Metalli. L’amministratore unico della società è stato, dal 15 dicembre 2014 al
22 gennaio 2016, Lonzi Emiliano. Tra i dipendenti della società RA.RI. Livorno
srl vi erano Mauro Palandri, peraltro anche titolare di un pegno sulle quote
della società pari a euro 20.280, e Anna Mancini, moglie di Lonzi Emiliano.
2. La società RA.RI.
Livorno smaltiva illegalmente i rifiuti pericolosi. In particolare, la società
Lonzi Metalli srl conferiva alla RA.RI. Livorno srl rifiuti non pericolosi,
falsamente identificati come pericolosi, con la conseguenza che quest’ultima
non ha sostenuto i costi del trattamento. Con tale sistema la società RA.RI.
Livorno è riuscita a gestire illegalmente volumi elevati di rifiuti pericolosi
in ingresso, che non avrebbe potuto realmente gestire, tanto più che non aveva
un impianto adeguato ai volumi dei rifiuti in entrata.
I rifiuti in
questione, pervenuti alla società RA.RI. Livorno, venivano successivamente
rimandati, miscelati anche a rifiuti pericolosi, alla società Lonzi Metalli,
con il codice 19.02.03, oppure portati direttamente in discarica.
3. A titolo
esemplificativo, in data 2 dicembre 2015, alle ore 7.25, le telecamere hanno
mostrato come l’autocarro targato EF776FB, munito di rimorchio targato AD10513,
era entrato nell’impianto della società Lonzi Metalli e, dopo essersi
posizionato sulla pesa, si era diretto verso il piazzale, dove aveva poi
effettuato un’inversione di marcia. Alle ore 7.35 l’autocarro si era disposto
nell’area di carico posta davanti all’ingresso, parallelamente all’uscita
dell’impianto di trattamento rifiuti. Quindi, un operatore a bordo di pala
meccanica aveva caricato i cassoni dell’autocarro targato EF776FB e del
rimorchio targato AD10513 con materiale prelevato nei pressi delle baie
contenenti materiali terrosi. Sebbene le telecamere abbiano mostrato il
caricamento di materiale terroso, il formulario n. 6862 del 2015, relativo al
carico, riportava che su detto mezzo era trasportato il rifiuto con codice CER
08.01.11*, cioè, un rifiuto pericoloso costituito da pitture e vernici di
scarto, contenenti solventi organici o altre sostanze. Tale rifiuto non poteva
essere trattato dalla società Lonzi Metalli, in quanto, come si è visto, tale
azienda aveva il proprio impianto sospeso dall’attività di gestione dei rifiuti
pericolosi e poteva solo svolgere operazioni di ripristino delle condizioni
degli imballaggi e riconfezionamento di tali rifiuti. Viceversa, il rifiuto
caricato con pala meccanica era visibilmente sfuso e, essendo di matrice
terrosa, sicuramente trattavasi di rifiuto diverso da quello dichiarato nel
formulario di trasporto, molto probabilmente non pericoloso, poiché proveniente
dalla baia utilizzata per il deposito e movimentazione dei rifiuti provenienti
dalla pulizia degli arenili della linea 1, attività R12. Inoltre, in base alla
normativa vigente, il materiale classificato come pericoloso deve essere
trasportato imballato ed etichettato, come disposto dal quarto comma
dell’articolo 193, decreto legislativo n. 152 del 2006, secondo cui “Durante la
raccolta e il trasporto, i rifiuti pericolosi devono essere imballati ed
etichettati in conformità alle norme vigenti in materia di imballaggio e etichettatura
delle sostanze pericolose”, mentre, nel caso specifico sopra descritto, il
materiale è stato trasportato sfuso nel cassone dell’autocarro e del rimorchio.
Infine, nel caso di
specie, l’autocarro targato EF776FB, dopo essersi riportato sulla pesa, alle
ore 7.55, è uscito dall’impianto della Lonzi Metalli srl e si è diretto
all’impianto della società RA.RI. Livorno srl per il trattamento del “rifiuto
pericoloso”, come falsamente indicato nel formulario di trasporto n. 6862 del
2015.
Operazioni analoghe
sono state riprese dalle telecamere installate dalla polizia giudiziaria in
data 19 dicembre 2015, alle ore 8.10, alle ore 10.04 e alle ore 10.34, nonché
il 21 dicembre 2015, alle ore 9.40, alle ore 13.19, alle ore 15.32 e alle ore
16.14.
4. Particolarmente
significativo è ciò che è accaduto il 22 dicembre 2015, quando, alle ore 12.33,
l’autoarticolato targato ZA357TS, con rimorchio targato AB53902, è entrato dal
cancello principale della società Lonzi Metalli e, alle ore 12.50, dopo la
pesatura, ha scaricato il contenuto del cassone nella baia T5 (area dedicata al
trattamento di miscelazione, linea 8, rifiuti pericolosi con codice CER
19.02.03), ovvero i rifiuti con codice CER 19.12.12 prodotti dalla società
Rosso.
I filmati delle
telecamere hanno mostrato che Lonzi Emiliano e Fulceri Stefano hanno visionato
il materiale appena scaricato insieme all’autista dell’autoarticolato e hanno
parlato con quest’ultimo, indicando il cumulo di materiale. Al termine della
conversazione l’autista ha spostato il mezzo vuoto di fronte alle baie K, dove
è rimasto fino alle ore 13.49; quindi l’automezzo è stato riportato alla baia
TS (area dedicata al trattamento di miscelazione, linea 8, codice CER
19.02.03), a fianco del materiale da lui stesso scaricato. Un operatore, con il
ragno meccanico, ha ricaricato lo stesso materiale, terminando le operazioni
alle ore 14.15. A questo punto, l’autotreno si è spostato nei pressi delle baie
K e vi è rimasto fino alle ore 16.26, quando si è diretto alla pesa;
successivamente si è allontanato dalla società Lonzi Metalli, diretto
all’impianto della RA.RI..
Dal registro di carico
e scarico tale trasporto risulta associato al formulario n. 7489J15, nel quale
era stato indicato il codice CER 08.03.12*, cioè quello relativo a scarti di
inchiostro contenenti rifiuti pericolosi. Pertanto, al rifiuto entrato nel
piazzale Lonzi Metalli era stato effettuato un semplice cambio di codice, senza
alcun trattamento. Invero, il rifiuto era entrato con il codice CER 19.12.12,
relativo a rifiuti non pericolosi, cioè come “rifiuto generato dal trattamento
meccanico dei rifiuti” ed era stato ricaricato tal quale e inviato alla società
RA.RI. Livorno con il codice CER 08.03.12*, “scarti di inchiostro contenenti
sostanze pericolose”, ovvero come rifiuti pericolosi. Nell’ordinanza del GIP
del tribunale di Firenze viene sottolineato che il rifiuto anzidetto,
identificato con il codice CER 08.03.12*, è immediatamente individuabile come
non corrispondente al rifiuto entrato nell’impianto della società RA.RI. Livorno.
Esso, infatti, come si è visto, per legge, deve essere trasportato, in colli o
imballato, con apposite cautele. Inoltre, anche in questo caso, il rifiuto
all’osservazione era apparso di natura terrosa.
5. Occorre anche
rilevare che, solo nelle giornate 21 e 22 dicembre 2015, le telecamere hanno
filmato gli autocarri delle aziende Rat e Vanni Autotrasporti (targati EF776FB,
DC787CP e DY596YF) che, in almeno 18 occasioni, sono entrati e usciti
immediatamente dalla società Lonzi Metalli senza effettuare alcuna operazione
di carico o scarico. Tuttavia, a tutti i movimenti sono stati associati
formulari relativi a trasporti di rifiuti pericolosi effettuati verso la
società RA.RI. Livorno.
All’esito di questo
quadro generale, l’ordinanza del GIP passa all’esame dei singoli capi di
imputazione, riportando una lunga serie di carichi e scarichi illeciti,
effettuati con le modalità sopra descritte, dalla Callegari Ecology Service
srl, gestita da Callegari Paola, ed effettuati nei giorni 2, 3, 4, 9, 10, 15, 16,
17, 18, 23 dicembre 2015. Ancora, per quanto riguarda un’altra società
coinvolta, la F.B.N. Ecologia srl, con sede in Prato, nell’ordinanza del GIP di
Firenze si legge (pag. 27) che la suddetta società aveva effettuato, nel solo
mese di dicembre 2015, otto conferimenti di rifiuti nell’impianto Lonzi
Metalli, risultati falsi (nei giorni 2, 4, 9,11, 14, 18, in due distinti
momenti, e 22 dicembre).
In particolare, si
trattava di carichi di rifiuti prodotti e trasportati da un autotreno (targato
BW768DH, con rimorchio targato AE06755), intestato alla F.B.N. Ecologia srl,
accompagnati da formulari della stessa società, carichi che, senza essere
scaricati nello stabilimento della società Lonzi Metalli, erano tuttavia usciti
dal suddetto impianto con altro formulario, nel quale risultava come nuovo
produttore la Lonzi Metalli srl.
Dalle videoriprese è
emerso che i tempi dello stazionamento del suddetto autocarro nel piazzale
della Lonzi Metalli variava da un minimo di circa tre minuti a un massimo di
circa sette/otto minuti, tempi del tutto insufficienti a svolgere le operazioni
di pesa, scarico di entrambi gli scarrabili e ricarico degli stessi, tant’è che
il suddetto autocarro con rimorchio, appena uscito dall’impianto della Lonzi
Metalli, stazionava di fronte all’ingresso, in attesa che trascorresse il
tempo minimo
necessario per simulare lo scarico del mezzo e il successivo ricarico.
Vi sono, poi, gli
scarichi di rifiuti speciali pericolosi, costituiti da assorbenti, materiali
filtranti (filtri dell’olio), stracci e indumenti protettivi, contaminati da
sostanze pericolose, con codice CER 15.02.02*, come da formulario di
identificazione, effettuati presso l’impianto della Lonzi Metalli srl dalla Bra
Servizi srl, rispettivamente, in data 4, 9, 11, 18 dicembre 2015. Tali rifiuti,
dopo essere state scaricati a terra nel piazzale della Lonzi Metalli, con la
rottura dei contenitori, sono stati movimentati con un ragno, generando,
peraltro, una notevole quantità di polvere nera, per poi venire sistemati
dall’operatore nelle baie T2, T3 e T4, adibite a raccogliere rifiuti
classificati con codice CER 19.12.12.
I carichi in questione
hanno quindi contaminato i rifiuti non pericolosi contenuti nelle baie
anzidette, così modificando le loro caratteristiche e rendendole ancora più
difformi da quelle indicate nelle varie omologhe, riportate nei formulari di
trasporto emessi a favore della REA Impianti, che gestisce la discarica di
Scapigliato, ubicata nel comune di Rosignano Marittimo.
Ancora, l’ordinanza
del GIP di Firenze riporta anche la notizia del fermo effettuato dalla polizia
giudiziaria, in data 18 dicembre 2015, di due autocarri carichi di rifiuti, con
codice CER 19.12.12, partiti dallo stabilimento della Lonzi Metalli e diretti
verso la discarica di Scapigliato. In realtà, dall’esame dei carichi è emerso
che i rifiuti provenivano dalla società Teate Ecologia srl, tant’è che si
trovavano ancora nelle buste del conferitore e, dunque, non avevano subito
alcun trattamento.
La consulenza disposta
nell’ambito del relativo procedimento penale, promosso dalla procura della
Repubblica presso il tribunale di Livorno, ha accertato la natura di rifiuti
pericolosi di quelli sequestrati. Infine, come rilevato dal procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Livorno, nella veste di applicato alla
procura distrettuale di Firenze, va sottolineato che dalle intercettazioni
telefoniche non emerge alcun cenno né alle problematiche concernenti la
distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi, né a quelle dei controlli
da parte di ARPA Toscana, controlli che, almeno nel mese di dicembre 2015, non
sono avvenuti, ovvero sono avvenuti in orari diversi da quelli in cui vi è
stata quella enorme massa di scarichi di rifiuti pericolosi, verificatisi
addirittura anche nel piazzale della Lonzi Metalli con la rottura dei
contenitori contenenti carichi pericolosi.
Il vero problema dei
dirigenti della Lonzi Metalli era costituito dalle “maleodoranze”. Un problema
che è stato posto in evidenza dalle intercettazioni telefoniche, anche recenti.
Così, Fulceri Stefano, cognato del Lonzi, spedisce a Callegari Paola, in data
11 ottobre 2017, un messaggio (n. 10879) del seguente tenore: “Ciao domani uno
non troppo chanel”, con chiaro riferimento alle caratteristiche olfattive dei
rifiuti. In precedenza, vi erano state tra i due telefonate dello stesso
tenore. Nella telefonata n. 3435, del 18 luglio 2016, vi è la comunicazione
della Callegari al Fulceri che il giorno successivo gli avrebbe inviato “…due
autotreni, di cui tre cassoni di non pericolosi e uno di 15.01.10”; in
risposta, il Fulceri aveva acconsentito all’invio dei rifiuti, a condizione che
gli stessi non fossero maleodoranti: “…però, mi raccomando, che non abbiano
odori”, rimarcando nuovamente “…l’importante è che non abbiano odori”).
All’evidenza, il Fulceri era preoccupato per le iniziative assunte dalle
associazioni ambientalistiche, posto che, come si è visto, il presidente del
“Comitato contro la Lonzi Metalli”,
Fabrizio Terreni, che
ha la propria abitazione a 40 metri di distanza dall’azienda, nel corso
dell’audizione del 6 novembre 2017, ha rappresentato alla Commissione di
inchiesta la drammatica situazione del territorio, parlando di undici incendi a
partire dal 2001, di 86 ore di fuoco ininterrotto in un incendio del 2009,
dell’arrivo quotidiano di 70-80 autotreni di rifiuti da smaltire e,
soprattutto, di fumi e vapori maleodoranti, che si diffondevano sulle
circostanti zone abitative, oltre che di picchi di diossina rilevati nel 2012
(fatto che aveva provocato l’emissione dell’ordinanza sindacale sopra citata,
contenente il divieto di consumo di prodotti agricoli).
In tale contesto, il
procuratore della Repubblica presso il tribunale di Livorno, nel corso
dell’audizione del 18 dicembre 2017, si è riservato di contestare, in una
seconda fase delle indagini, anche il reato di inquinamento ambientale di cui
all’articolo 452-bis codice penale, dopo aver verificato l’esistenza di
un’alterazione dell’ecosistema, cioè cosa sia realmente accaduto in questi
impianti e nei territori dove essi insistono.
Gli accertamenti e le
considerazioni del procuratore della Repubblica in Livorno
Le relazioni in data 5
luglio 2017 (doc. 2152/2) e in data 14 dicembre 2017 (doc. 2594/3) del
procuratore della Repubblica presso il tribunale di Livorno, nonché applicato
alla procura distrettuale di Firenze, dottor Ettore Squillace Greco, contengono
una puntuale analisi della situazione, non solo del circondario di Livorno, ma
che sono riferibili all’intera regione Toscana.
Secondo gli ultimi
dati disponibili rappresentati dallo stesso procuratore, la Toscana è al sesto
posto nella classifica nazionale per numero di reati ambientali accertati:
viene dopo Campania, Sicilia, Puglia, Calabria e Lazio. Si tratta un dato
significativo che non può essere spiegato con una maggiore meticolosità nel
verificare il rispetto della normativa ambientale. È ben vero, in teoria,
che in Toscana vi
possano essere controlli più frequenti e più efficaci rispetto a regioni come
la Calabria o la Campania, ma non più che in Emilia-Romagna, Umbria, Liguria,
Veneto e altre regioni ad essa assimilabili. Dunque, se risultano accertati più
reati che nelle altre regioni omologhe per caratteristiche socio economiche e
funzionalità degli organi di controllo, significa che in Toscana si inquina di
più (doc. 2152/2). Nel panorama nazionale dei reati ambientali, la regione
Toscana, con il Lazio, viene immediatamente dopo le quattro regioni di origine
delle nostre mafie storiche.
In generale, si può
affermare che in Toscana e nel livornese i settori in cui, negli ultimi anni,
si sono registrati gli illeciti più gravi sono quelli del riciclo degli
stracci, dello smaltimento dei liquami, dei fanghi e dei rifiuti solidi. Le
illecite attività elusive della normativa antinquinamento sono oggi realizzate
con meccanismi che si sono sempre più affinati con il passare del tempo. Non
solo, quindi, infiltrazioni di rifiuti pericolosi nei terreni e nelle cave,
operazioni di giro bolla, declassificazioni fittizie e altri artifici tipici
della criminalità ambientale, ma anche autorizzazioni caratterizzate da
espressioni generiche ed equivoche che finiscono per consentire ciò che è
vietato, cioè:
1) iscrizioni all’albo
del gestori ambientali con ditte create ad hoc per trattare i rifiuti, ma che,
viceversa, non trattano;
2) organizzazione di
mezzi e standardizzazione di procedure per mascherare i rifiuti e smaltirli con
false classificazioni. Lo smaltimento dei rifiuti, alimentato da frequenti
corruttele e da controlli troppo spesso inadeguati, in qualche modo favoriti da
una legislazione farraginosa e sempre più bisognosa di una semplificazione
chiarificatrice, è uno dei grandi “affari” del tempo attuale. Alcuni degli
ultimi casi di traffico di rifiuti contestati in Toscana coinvolgono imprese
regolarmente iscritte e autorizzate a trattare proprio i rifiuti stessi. Un
caso ha riguardato una ditta pratese operante nel settore degli stracci ed è
stato, forse, il primo caso di impresa a partecipazione camorrista, il cui
titolare (un toscano) è stato condannato con sentenza definitiva con
l’aggravante della agevolazione mafiosa, prevista dall’articolo 7 della legge n.
203 del 1991.
Nuove modalità dì
realizzazione degli illeciti si registrano nei settori dei rifiuti tossici e
pericolosi. Una serie di indagini, alcune delle quali ancora in corso, sia nel
territorio livornese che in altri ambiti della Toscana, dimostrano l’esistenza
di collaudati sistemi fraudolenti diretti a gestire lo smaltimento dei rifiuti
pericolosi, eludendo la normativa di settore per realizzare consistenti
profitti illeciti. Tali sistemi si basano, di regola, sul sodalizio criminoso
che si crea tra chi produce i rifiuti (che ha interesse a smaltirli al costo
più basso possibile) e chi gestisce gli impianti di trattamento e gli impianti
di smaltimento finale. Si verifica, così, che rifiuti pericolosi vengano
qualificati falsamente come rifiuti non pericolosi e, come tali, smaltiti in
discariche autorizzate per i rifiuti non pericolosi. Il meccanismo registra
spesso l’utilizzazione fraudolenta del codice CER 19.12.12, che è quello cui
corrisponde l’ecotassa più bassa in assoluto (euro 2,50 per tonnellata, contro
euro 10,55) e del codice CER 9.02.03, che caratterizza le miscele di rifiuti
non pericolosi.
Parimenti, per
beneficiare dell’ecotassa e dell’IVA agevolata, vengono smaltiti con il codice
CER 19.12.12 rifiuti che, in realtà, non hanno subito alcun trattamento
(selezione, recupero, triturazione e via dicendo), necessario per potere essere
classificati con tale codice. In sostanza, in tali casi, i soggetti agenti
realizzano un triplo illecito profitto: quello costituito dal risparmio sulle
spese di trattamento dei rifiuti, quello costituito dalla indebita percezione
del contributo dell’eco tassa (legato, appunto, al codice CER 19.12.12) e,
infine, l’indebito risparmio sull’IVA perché, in questi casi, è prevista
l’aliquota agevolata del 10 per cento, anziché quella generale del 22 per
cento.
Non manca, poi, nel
traffico illecito di rifiuti realizzato in Toscana, in particolare nel
territorio di Livorno, il cosiddetto “girobolla”. I rifiuti entrano in impianto
e, tal quali, escono con nuovo FIR (formulario di identificazione rifiuti) di
accompagnamento, senza che gli stessi siano neanche scaricati dal
trasportatore; dopodiché, viene agli stessi attribuito, nel FIR in uscita, un
numero di omologa falso per far risultare che gli stessi hanno avuto il trattamento
e sono stati sottoposi alle analisi necessarie, per essere infine conferiti
come rifiuti non pericolosi nelle apposite discariche.
Altro aspetto da
considerare, in generale, è che le imprese di trattamento, per eludere i
controlli richiesti anche dagli stessi impianti di smaltimento finale, spesso
tendono a camuffare i rifiuti per renderli simili agli standard che
caratterizzano i rifiuti non pericolosi, in modo da poterli così qualificare
falsamente con codice CER 19.12.12..
Tale obiettivo viene
raggiunto tritando i rifiuti per renderli non riconoscibili. Si tratta di
meccanismi illeciti, che spesso coinvolgono anche compiacenti gestori delle
discariche, ma non solo questi ultimi. Una serie di elementi concreti fanno
ipotizzare, in taluni casi, il concorso (volontario o meno) di imprese di
autotrasporto, di superficiali laboratori di analisi, di distratti appartenenti
alla pubblica amministrazione.
In alcuni procedimenti
aperti a Livorno sono emersi dati veramente significativi. Uno di questi è
quello nr. 15787/14 mod. 21 RGNR - DDA Firenze, di cui si è detto, nell’ambito
del quale, in data 14 dicembre 2017, è stata data esecuzione a un’ordinanza,
emessa dal GIP distrettuale di Firenze, con cui sono stati applicati gli
arresti domiciliari a sei persone e, ad altre cinque, misure interdittive. Il
GIP fiorentino ha ritenuto condivisibile l’impostazione secondo la quale è
stato contestato un autonomo delitto di traffico di rifiuti per ciascuno dei
diversi ambiti di smaltimento illecito accertato nel corso delle indagini. In
altri termini, è stato considerato come autonomo e distinto traffico illecito
di rifiuti quello che riguarda un singolo circuito di smaltimento, il cui
segmento iniziale è costituito da un diverso produttore e/o conferente di
rifiuti (ricomprendendo in tale concetto anche chi non produce ma ritira i
rifiuti dal produttore iniziale e si occupa dello smaltimento), oppure da una
diversa tipologia di rifiuti oggetto di smaltimento.
Seguendo questo criterio si può dire che allo stato risultano accertati almeno cinque distinti e autonomi ambiti di traffico illecito di rifiuti. La caratteristica saliente è che tutti questi diversi traffici vedono come protagonisti un imprenditore livornese e altri soggetti a lui legati. Tale circostanza è stata decisiva per ritenere configurabile anche il delitto di associazione a delinquere finalizzato al traffico, nonché altri illeciti in materia di rifiuti. Nel corso delle indagini sono stati fermati tre carichi di rifiuti che uscivano dall’impianto della Lonzi Metalli srl di Livorno per andare in discarica. I rifiuti stessi erano classificati con i codici CER 19.12.12 e 19.02.03, entrambi caratterizzanti i rifiuti non pericolosi. In realtà si trattava di rifiuti pericolosi o di miscele contenenti anche rifiuti pericolosi, ovvero, comunque, non smaltibili in discarica.
In un altro caso un
carico di rifiuti in uscita dall’impianto di trattamento era identificato con
il codice CER 19.02 03 (rifiuti non pericolosi premiscelati); viceversa, a
seguito delle successive verifiche tecniche effettuate in contraddittorio con
gli interessati, è emersa la consistente presenza di rifiuti pericolosi. In un
terzo caso un camion, in viaggio da un impianto all’altro, trasportava rifiuti
pericolosi camuffati da non pericolosi miscelati: questi erano infatti indicati
con codice CER 19.02.03, che come detto individua i rifiuti non pericolosi
miscelati. In realtà, nel corso del successivo controllo - anche questo
effettuato in contraddittorio ex articolo 360 del codice di procedura penale -
sono stati rinvenuti rifiuti pericolosi, addirittura, neanche camuffati, che
riportavano il codice CER 07.03.10*, che identifica, appunto, rifiuti
pericolosi.
In un’altra recente
indagine, in via di conclusione, di cui si è occupato il dottor Ettore
Squillace Greco, quale magistrato applicato alla direzione distrettuale
antimafia di Firenze, è emerso che rifiuti industriali entravano con vari
codici CER presso gli impianti di una società di Santa Croce sull’Arno e, una
volta stabilizzati, ricevevano il codice CER 19.03.05, identificativo di
rifiuti non pericolosi. In realtà, il processo di inertizzazione veniva
realizzato in maniera non conforme alle prescrizioni di legge e
all’autorizzazione ricevuta, sicché i rifiuti erano da considerare pericolosi,
anche se venivano illecitamente smaltiti presso diverse discariche come rifiuti
non pericolosi.
Molti di questi
rifiuti, in particolar modo, quelli prodotti dalle concerie del distretto del
Valdarno inferiore, contenevano sostanze chimiche altamente inquinanti, come
cromo e nichel, che non risultavano adeguatamente trattate e “fissate“ alla
matrice solida fangosa che le conteneva, con conseguente rischio di dispersione
nell’ambiente.
Un altro esempio
significativo di come la tematica dall’inquinamento ambientale coinvolga in
termini da non sottovalutare sia la zona costiera del territorio toscano, sia
la provincia di Livorno in particolare, è costituito dalla vicenda che riguarda
il territorio di Montescudaio. Il procedimento, in cui sono rubricati i reati di
cui agli articoli 452 quater e quinquies del codice penale, nonché 44 del
DPR n 380 del 2001, ha
tratto le mosse da una serie di accertamenti dell’ARPAT diretti ad individuare
l’inquinamento dell’area di Poggio Gagliardo (comune di Montescudaio).
Dalle indagini svolte
si è accertato che l’inquinamento deriva dagli scarichi di percloroetilene
(PCE) e trielina (TCE) effettuati negli anni 80’ e 90’ da una conceria e da una
lavanderia. Entrambe le aziende facevano uso di solventi; in particolare, la
conceria usava circa 200 litri al giorno di trielina. Gli specifici
accertamenti tecnici disposti dalla procura della Repubblica presso il
tribunale di Livorno hanno fatto emergere la presenza di tonnellate di trielina
nella falda e la costante diffusione dell’inquinamento verso il mare, con
contaminazione progressiva sia dei pozzi utilizzati in agricoltura, sia di
quelli potabili. L’inquinamento interessa anche metà dell’abitato di Cecina.
Dalle indagini è anche emerso che l’originario inquinamento è stato aggravato
dalla costruzione nel sito inquinato di un centro commerciale. Si tratta di
costruzione eseguita in violazione degli esistenti vincoli urbanistici e
ambientali, nella sostanziale inerzia delle competenti autorità locali. In
sostanza, la costruzione del centro commerciale, secondo i consulenti tecnici,
ha aggravato la situazione e, allo stato, sussistono tutti gli elementi di un
vero e proprio disastro ambientale. Va detto che, dopo gli ultimi passaggi
investigativi, in particolare dopo l’escussione di alcuni responsabili della
autorità regionale, sono iniziati i lavori di bonifica da parte della regione
Toscana. Il procedimento è in via di definizione.
Altro aspetto che
caratterizza negativamente la situazione del territorio della provincia di
Livorno, è dato dall’esistenza di provvedimenti amministrativi di
autorizzazione al trattamento e smaltimento di rifiuti che risultano confusi e
contraddittori. Così caratterizzati, tali provvedimenti lasciano spazio per la
elusione della normativa di settore e rendono più difficile l’accertamento
delle responsabilità nei procedimenti penali. A Livorno, per esempio, è stata
di recente rilevata una grave anomalia nella autorizzazione n. 100 del 12
giugno 2014, rilasciata dalla provincia. Il provvedimento risulta illegittimo
per contrasto con il disposto dell’articolo 187, decreto legislativo 152 del
2006 e con la direttiva europea di riferimento (2008/98/CE). In particolare,
nell’allegato tecnico che costituisce parte integrante dell’autorizzazione, al
punto 4, pagina 47, si prevede - correttamente - che i rifiuti miscelati devono
mantenere la classificazione di pericoloso e, poco dopo, si afferma - ultimo
rigo di pagina 47 - che il rifiuto prodotto dalla attività di stabilizzazione
(che si ha quando il rifiuto viene trattato con altra sostanza, per esempio
calce, per renderlo smaltibile) può essere codificato in due modi: come CER
19.03.04*, se pericoloso o come CER 19.03.05, se non pericoloso. In realtà,
tutti i rifiuti originariamente pericolosi, comunque trattati, devono uscire
dall’impianto per andare allo smaltimento finale con il codice CER 19.03.04* o
altro codice CER, che identifica i rifiuti pericolosi, sicché è illegittima
l’attribuzione del codice CER 19.03.05.
Lo stesso equivoco si
ripropone per la triturazione. Invero, a pagina 48, punto 4, della
autorizzazione si dice che: “…il rifiuto prodotto è codificato 19.12.11*, se
pericoloso, e 19.12.12, se non pericoloso”. Viceversa, anche in questo caso,
trattandosi di miscelazione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi, il codice
di uscita per lo smaltimento deve essere quello che identifica i rifiuti
pericolosi, cioè il CER 19.12.11*.
Nel punto 5 della
stessa autorizzazione, a pagina 48, si dice che “…l’attività di miscelazione
non può in nessun caso portare alla declassificazione del rifiuto”. Vi è,
quindi, un’altra contraddizione: ciò perché la triturazione è compresa come
concetto nella miscelazione. Pertanto, se si afferma che la miscelazione non
può portare alla declassificazione del rifiuto, non si comprende come sia
possibile prevedere che il rifiuto stesso triturato possa uscire anche con
codice CER 19.12.12. e non - come dovrebbe essere - con codice CER 19.12.11*,
cioè quello che identifica i rifiuti pericolosi.
La stessa
contraddizione si ripresenta per i rifiuti triturati all’interno dell’impianto.
Invero, sempre a pagina 48, punto 4, della autorizzazione si dice che tali
rifiuti avranno codici 16.02.04*, se pericolosi, oppure 19.02.03, se non
pericolosi. Ancora, essi avranno codice 19.03.04*, se pericolosi oppure
19.03.05, se non pericolosi. In realtà tutti i rifiuti, comunque triturati
(ergo, trattati), se contenenti rifiuti singolarmente pericolosi vanno
classificati con i codici CER asteriscati, cioè con i codici che identificano i
rifiuti pericolosi.
Come affermato dal
procuratore Squillace Greco, alla scarsa chiarezza dei provvedimenti che
disciplinano l’attività di trattamento dei rifiuti, si aggiunge, inoltre, una
scarsa incisività dei controlli. A questo riguarda va segnalato come in Toscana
capiti di vedere aziende che gestiscono lo smaltimento dei rifiuti, all’interno
di strutture munite di fortificazioni o con mura di abnorme altezza, nonché
circuiti di video sorveglianza assolutamente sproporzionati alla natura
dell’attività.
Tali fatti
rappresentano un dato davvero eloquente sull’attività di gestione illecita dei
rifiuti Il dottor Ettore Squillace Greco conclude la propria relazione
osservando che quanto finora esposto trova pieno riscontro anche nel resto del
territorio nazionale. Ciò dovrebbe indurre ad una più ampia riflessione sulla
necessità di un cambio di passo sia nella legislazione di settore, sia nelle
procedure amministrative (che vanno semplificate), sia nei controlli (che vanno
anch’essi snelliti).
Questi ultimi, infine,
vanno strutturati in modo da recuperare una concreta effettività, evitando ogni
pericolosa prossimità tra controllore e controllato.
Conclusioni
Numerose sono le
situazioni di criticità riscontrate delle discariche e degli impianti della
provincia di Livorno. La discarica di Scapigliato è gestita dalla società REA
Impianti srl, la quale ha come socio di riferimento, attraverso una serie di
partecipazioni, il comune di Rosignano Marittimo, nel cui territorio la
discarica è ubicata. È questa la più grande discarica della Toscana, dove ogni
anno vengono smaltite circa 460.000 tonnellate di rifiuti. L’impianto è stato
afflitto da numerosi incendi, l’ultimo dei quali è avvenuto in data 2 agosto
2017 e ha interessato una porzione di un capannone di circa 500 metri quadri,
adibito alla tenuta in quarantena di rifiuti in attesa di analisi di controllo.
Si tratta di un fatto
che può apparire sintomatico della volontà del gestore dell’impianto di
sottrarsi ai controlli. Anche presso l’impianto di trattamento della RA.RI.
Livorno srl si sono verificati numerosi incendi. Così, ad esempio, nel 2007 un
incendio aveva interessato circa 56 tonnellate di fanghi e prodotti di
filtrazione di fumi, in attesa di smaltimento nel capannone G2. Nel 2008,
invece, un altro incendio aveva interessato l’interno di un capannone, che
conteneva circa 300 tonnellate di rifiuti assimilabili a rifiuti solidi urbani.
In effetti, nel corso
degli anni, ben undici incendi hanno interessato la società Lonzi Metalli,
collegata alla RA.RI Livorno srl, con un incendio che nell’anno 2009 ha avuto
la durata di 86 ore di fuoco ininterrotto. In particolare, l’incendio del mese
di luglio 2012 aveva provocato l’emissione da parte del sindaco di Livorno, su
richiesta della ASL 6, di un’ordinanza che vietava il consumo “…a uso umano e
zootecnico di cavoli, zucchine, zucca e vegetali a foglia larga in un’area fino
a 500 metri dalla Lonzi (lato città)”, in quanto le indagini condotte da ARPA
Toscana avevano rilevato la presenza di diossine sulle verdure, quale
conseguenza dell’incendio anzidetto.
Altri incendi di
rifiuti, avvenuti negli anni 2014 e 2015 hanno coinvolto, rispettivamente, le
discariche di Rosignano Marittimo presso REA e di Piombino presso ASIU, nonché
ancora la Lonzi Metalli in data 8 agosto 2015 e la RA.RI in data 3 marzo 2015.
Tuttavia - fatto
singolare - né ARPA Toscana, né i Vigili del fuoco hanno comunicato alla
procura della Repubblica l’esistenza di una notizia di reato, pur essendo
ignote la cause di tali eventi.
Vi è poi il problema
delle maleodoranze, che hanno indotto i cittadini colpiti da tale fenomeno a
costituire comitati. In tal senso, il presidente del “Comitato contro la Lonzi
Metalli” ha lamentato l’arrivo quotidiano presso l’impianto della Lonzi Metalli
di 70-80 autotreni di rifiuti da smaltire, di fumi e vapori maleodoranti, che
si diffondono sulle circostanti zone abitative, mentre il “Comitato aria pulita
Livorno nord” ha segnalato l’inquinamento ambientale provocato dall’impianto
della RA.RI. Livorno, chiedendone la delocalizzazione al sindaco, il quale è
ancora alla ricerca di una soluzione al problema, nel tentativo di individuare
possibili aree distanti dai centri abitati.
Sembrerebbero semplici
casi ma non lo sono, in quanto incendi e maleodoranze traggono origine, il più
delle volte, da attività illecite. Non è dunque un caso se il titolare e il
gestore degli impianti della Lonzi Metalli srl e della RA.RI. Livorno, Lonzi
Emiliano, i suoi famigliari e i suoi fidati collaboratori siano stati
destinatari, nel mese di dicembre 2017, di una ordinanza applicativa di misure
cautelari coercitive e interdittive da parte del GIP distrettuale di Firenze,
con la contestazione dei reati di associazione per delinquere, di plurime
attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e di truffa ai danni
della regione Toscana.
Invero, dall’attività
di monitoraggio con telecamere, in corso per oltre sette mesi, eseguita
sull’impianto della Lonzi Metalli, dalle intercettazioni telefoniche e
ambientali, dai fermi e dai sequestri intervenuti, nonché dalla documentazione
acquisita nel mese di dicembre 2015, è emerso che Lonzi Emiliano e i suoi
sodali hanno gestito gli impianti di trattamento in modo prevalentemente
illecito, mediante la miscelazione di rifiuti non pericolosi (per il cui
trattamento l’impianto della Lonzi Metalli era autorizzato), con rifiuti
pericolosi (per i quali presso la Lonzi Metalli era autorizzato solo lo
stoccaggio di rifiuti imballati e confezionati in contenitori), con
l’esclusione di ogni trattamento.
In questa attività
illecita sono coinvolti non solo numerosi produttori di rifiuti (Callegari
Ecology Service srl, FBN Ecologia srl, Federghini Agostino srl, Teate Ecologia
srl, Bra Servizi srl), di trasportatori (Vanni Autotrasporti srl), ma anche i
titolari di discariche pubbliche (Rosignano Marittimo e Piombino), ai quali i
rifiuti venivano conferiti indistintamente, senza alcun controllo, ovvero
effettuando controlli a campione, previamente concordati con i responsabili
della Lonzi Metalli.
In tale contesto di
palese e quotidiana gestione illecita dei rifiuti nei due impianti di Lonzi
Emiliano, risalta evidente l’assenza dei controlli da parte di ARPA, come
afferma il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Livorno.
Soprattutto, dalle
intercettazioni telefoniche non emerge alcun cenno né alle problematiche
concernenti la
distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi, né a quelle dei controlli
da parte di
ARPA Toscana, che
almeno nel mese di dicembre 2015, mese in cui l’impianto della Lonzi Metalli è
stato maggiormente attenzionato dagli inquirenti, non sono avvenuti, ovvero
sono avvenuti in orari diversi da quelli in cui, nelle date del 4, 9, 11 e 18
dicembre 2015, sono stati scaricati nel piazzale della Lonzi Metalli rifiuti
pericolosi, privi di contenitori, i quali sono stati movimentati da un ragno,
generando una notevole quantità di polvere nera, per poi venire collocati nelle
baie destinate ad accogliere i rifiuti non pericolosi, con codice CER 19.12.12.
Come si è sopra
ricordato a proposito dei controlli, il dottor Ettore Squillace Greco ha citato
un episodio, sintomatico del modo di procedere di ARPA Toscana, rilevando che
l’ordinanza di misura cautelare era stata eseguita in data 14 dicembre 2017 e
che il giorno precedente, presso l’impianto della RA.RI., era intervenuta la
stessa ARPA Toscana, la quale non aveva rilevato se non delle irregolarità di
natura formale, senza ispezionare la baia f), dove invece avrebbe potuto
rilevare la compresenza di rifiuti non pericolosi, misti a rifiuti pericolosi.
Addirittura, il 14
dicembre 2017, proprio mentre la polizia giudiziaria si trovava presso
l’impianto per l’esecuzione della misura, erano arrivati due camion carichi di
rifiuti pericolosi misti a non pericolosi. Quest’ultimo episodio costituisce,
se necessario, una conferma della abitualità comportamentale illecita da parte
del gestore degli impianti, ma pone anche in evidenza l’assoluta assenza di
controlli, posto che dall’inizio delle indagini penali nell’anno 2015 e la
notifica dell’ordinanza cautelare del dicembre 2017, cioè due anni dopo
l’accertamento del traffico illecito di rifiuti, la stessa attività con le
modalità sopra descritte (tra cui l’enorme via vai di camion carichi di rifiuti
pericolosi e non pericolosi), non ha creato alcun sospetto, permettendo ai
gestori degli impianti della Lonzi Metalli e della RA.RI. Livorno di proseguire
regolarmente, senza alcun intoppo di sorta, la loro attività illecita.
Infine, il NOE di
Grosseto dà atto della crescita esponenziale del fenomeno dei raccoglitori
abusivi di rottami di rame e di altri metalli ferrosi e non, con una flotta di
piccoli veicoli che sono soliti prelevare tali rifiuti presso ditte e/o
soggetti privati, senza alcun titolo autorizzativo. Si tratta di rifiuti di
sicura provenienza illecita, in quanto proventi di una attività di raccolta e
trasporto esercitata in forma ambulante, in carenza di qualsivoglia
autorizzazione, ovvero, nei casi più gravi, provento di furto/ricettazione.
Al riguardo, il NOE di
Grosseto ha eseguito verifiche su due diversi impianti autorizzati alla
rottamazione, dando impulso a due distinte attività investigative, coordinate
dalla direzione distrettuale antimafia della procura della Repubblica presso il
tribunale di Firenze, in relazione all’ipotesi di delitto di “Attività
organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, di cui all’articolo 260 del
decreto legislativo n. 152 del 2006.
PIOMBINO -
PROBLEMATICHE
L'area di
Piombino per ragioni geografiche, storiche ed industriali ha alcune
problematiche che vanno affrontate in modo analitico.
A parere
dello scrivente per l'area vista la notevole bellezza naturale al livello del
sud della Francia paga un modello di sviluppo errato scelto a fine '800 che ha
fatto virare la politica verso un modello industriale avanzato che alla lunga
non ha pagato. La situazione, con le dovute proporzioni, è paragonabile a
quella che attualmente vive Taranto.
La prima
problematica da
affrontare è quindi relativa alla crisi industriale che tocca Piombino da
numerosi anni e che è tuttora irrisolta.
L'attuale
situazione di blocco dello sviluppo industriale alimenta una crisi economica
che unita alla crisi pandemica in atto contribuisce alle difficoltà nel
territorio della Val Di Cornia rendendolo potenzialmente aggredibile da parte
dei gruppi criminali organizzati e non che già operano in Toscana.
Non si
possono non notare i continui cambiamenti di proprietà delle acciaierie situate
nel territorio che confermano la difficoltà esistente in tale settore.
Difficoltà che a dire il vero riguardano l'Italia nel suo complesso.
La seconda
problematica che riguarda
Piombino è l'annosa questione dei rifiuti che tante polemiche ha creato.
Da anni
l'intera area è classificata come SIN con i lavori di bonifica iniziati da
alcuni anni.
Lo scrivente
riterebbe utile che la bonifica del SIN venisse assegnata, straordinariamente, al Commissario Straordinario per la Bonifica delle
Discariche inquadrato presso il Ministero dell'Ambiente.
Il recente
caso delle ecoballe disperse in mare e parzialmente recuperate denota una
situazione di crisi cronica in un territorio in cui la questione rifiuti è
centrale.
Non si può
non riferirsi alla inchiesta sul traffico di rifiuti che ha coinvolto delle
società livornesi che operavano anche a Piombino che è stata abbondantemente
trattata nel capitolo ad hoc di questo report, ma in questa sede è importante
soffermarsi sulla famosa frase intercettata “Ci mancavano anche i bambini che vanno all’ospedale. Che muoiano,
m’importa niente dei bambini che si sentano male. Io li scaricherei in mezzo di
strada, i rifiuti”. Rifiuti ad
onor del vero scaricati in un altra regione, ma ciò non diminuisce la gravità
di una tal dichiarazione per delle società che operano in Toscana.
Un linguaggio del genere in Toscana non si
era mai visto prima e denota un deterioramento culturale notevole.
Un altra questione sempre inerente ai rifiuti che genera discussioni da diversi anni è la discarica denominata RIMATERIA SPA attualmente in regime di concordato preventivo che risulta essere in fase istruttoria relativamente alla richiesta di inserimento nella white list prefettizia ed in base alla legge può operare.
Senza entrare nel merito della storia
della discarica, per evitare ulteriori polemiche è parere dello scrivente la
necessità di verificare tutti passaggi autorizzativi ai sensi di legge e di
effettuare una caratterizzazione ed un carotaggio approfondito per verificare la
composizione e quindi la storia dei rifiuti versati e per eventuali sversamenti
nelle falde. Ovviamente il tutto va inteso in senso preventivo per il bene del
territorio ed in virtù delle norme in atto dal momento della nascita della
discarica.
Recentemente è stato riscontrato un
cattivo odore sul territorio comunale. Si allega quindi la tabella dell'ARPAT .
In
conclusione è necessario un controllo preventivo a tappeto tramite anche lo
strumento di inserimento in white list (ovvero
l'informativa antimafia) che è obbligatoria per quanto riguarda tutte le società
che si occupano di rifiuti e bonifiche in relazione alla pubblica amministrazione da giugno 2020. Ovvero la PA non può che sottoscrivere appalti
(ed avvalersi) soltanto con società regolarmente inserite in whitelist.
Pertanto il controllo a tappeto sulla regolarità delle iscrizioni in whitelist
è fondamentale per la garanzia di società pulite, e va effettuato
nei confronti di tutte le società che nel territorio operano nel settore dei
rifiuti sia nel trasporto che nella logistica degli stessi. Ciò deve valere
come regola generale di prevenzione nel territorio. Appare ovvio che le società
in regola non devono temere questo tipo di controllo.
La terza
problematica che va
trattata sul territorio senza voler in alcun modo creare allarmismo sociale è
quella della salute.
Non si può
negare che tale tematica sia molto sentita in loco come è normale che sia vista
la presenza industriale storica unita alla presenza di discariche.
In questi
casi è necessario mappare in modo opportuno dal punto di vista sanitario il
territorio. Il registro dei tumori potrebbe essere un passo importante in tal
senso.
La quarta
problematica che va
affrontata è quella della presenza della criminalità organizzata e/o mafiosa.
La Val Di
Cornia non è abituata a toccare il tema mafia. Eppure la mafia che è presente
nel territorio della provincia livornese come si evince dall'apposito capitolo
dedicato del report a cui si rimanda, non si capisce come non debba esser
presente anche qui.
Esistono da
tempo tracce di camorra, la stessa traccia è presente storicamente all'Elba.
Inoltre a
parere dello scrivente manca la volontà di cercarle le forme mafiose, eppure le
forme mafiose nei territori economicamente in crisi ulteriormente aggravata
dalla pandemia in corso sicuramente son presenti.
Conclusioni
La
situazione di Piombino e della Val Di Cornia va seguita con la massima
attenzione senza creare allarmismi ma nemmeno sottovalutazioni.
In attesa
del miglioramento della normativa sulla white list si auspica una applicazione
diffusa del metodo Antoci che porti a controlli antimafia seri basati su
informative dettagliate.
COMUNICATO STAMPA
Roma, 14 gennaio 2021 - La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (Commissione Ecomafie) ha approvato all’unanimità la relazione sulle garanzie finanziarie nel settore delle discariche. Il documento (relatori:On. Stefano Vignaroli, Sen. Vincenzo D’Arienzo, On. Manfredi Potenti) è stato trasmesso ai Presidenti delle Camere.
La Commissione ha deliberato di svolgere l’inchiesta in considerazione di segnali critici percepiti nell’ambito di più attività e acquisizioni di informazioni nel corso della presente e della precedente Legislatura. Tali segnali riguardano forti dubbi circa la reale efficacia della normativa in materia di garanzie finanziarie degli impianti di smaltimento di rifiuti, non in grado di garantire che l’ente pubblico di riferimento (Regione o Provincia territorialmente competenti) sia sempre ristorato nel caso di eventuali ripercussioni negative sull’ambiente causate dall’esercizio di una discarica o da inadempienze o fallimento del gestore.
La relazione approvata in data odierna è dedicata all’esame del quadro giuridico di riferimento e delle sue rilevanti incompletezze, alla valutazione delle criticità segnalate dagli interlocutori della Commissione, e a una prima analisi dei dati sugli impianti e sulle garanzie in concreto prestate, basata su una ricognizione delle informazioni richieste dalla Commissione alle Regioni. A questa prima relazione ne seguirà una seconda analitica, nella quale sarà compiutamente riportata e valutata l’imponente mole di dati acquisita dalla Commissione, fornendo il quadro della totalità degli impianti di discarica presenti sul territorio nazionale, con focus su casi specifici rilevanti tra cui anche quello della discarica di Malagrotta.
Secondo quanto previsto dalla normativa in materia, il rilascio e la validità dell’autorizzazione per la gestione di una discarica sono subordinati all’attivazione, da parte del gestore del sito, di garanzie finanziarie a copertura delle fasi operativa e post operativa, sotto forma di polizza assicurativa (forma attualmente preponderante), fideiussione bancaria o cauzione.
Tra le fattispecie di illecito più comuni individuate dalla Commissione figurano le false polizze assicurative, l’abusivismo e l’insolvenza dei soggetti garanti. Tali prassi illegali sono anche suscettibili di trarre facilmente in errore le amministrazioni pubbliche destinatarie delle garanzie e possono avere riflessi in termini di danno erariale.
Da una prima analisi di una parte significativa della documentazione pervenuta dalle Regioni, è possibile evidenziare una serie di anomalie. Tra di esse, a destare maggiori perplessità è la totale mancanza di garanzie finanziarie relative alla gestione di alcuni impianti. Con una certa frequenza si rileva anche che il ricorso alle garanzie finanziarie riguarda soltanto la gestione operativa, mentre quella post operativa non risulta coperta da alcuna garanzia, oppure da garanzia di soli cinque anni rinnovabile, contro i trenta previsti dalla legge. L’analisi della Commissione ha inoltre confermato l’uso preponderante delle polizze assicurative: esse sono emesse prevalentemente da compagnie d’assicurazione di diritto italiano, con una significativa quota di quelle con sede in Paesi dell’Unione europea ed extra UE. Sul fronte della funzione di protezione finanziaria che le garanzie devono assicurare, è stata finora rilevata la limitatissima escussione degli importi garantiti. In alcuni casi è emersa l’impossibilità dell’ente a procedere per l’intervenuto fallimento del soggetto gestore dell’impianto.
La parte finale del documento è dedicata a raccomandazioni circa interventi regolatori e informativi per il miglioramento dell’attuale situazione. Sul primo fronte, è opinione della Commissione che sia necessario un adeguamento delle norme statali che tenga conto di tre capisaldi: la competenza statale in materia, riconosciuta dalla Corte Costituzionale; la necessità di coerenza con le norme sovranazionali sulle discariche e il loro recente recepimento; il riconoscimento di una ineffettività dell’istituto così come attualmente disciplinato. A tale proposito, la Commissione formula anche una serie di indirizzi di riforma.
Accanto alle norme possono essere messi in campo modelli di contratto o contratti-tipo che garantiscano reale efficacia all’istituto. La Commissione inoltre ritiene che dovrebbe essere riconosciuto e costruito un ruolo del Sistema nazionale di protezione ambientale, considerata l’inscindibile relazione tra aspetti tecnici e aspetti economico-finanziari dell’istituto delle garanzie in questo settore. I fenomeni illeciti o elusivi necessitano di un contrasto basato innanzitutto sulla circolazione delle conoscenze a proposito dei soggetti che operano nel settore, mediante un coordinamento tra banche dati (a livello nazionale ed europeo), un monitoraggio da parte di enti esponenziali di categoria e istituzioni pubbliche, un superamento dei controlli meramente cartolari da parte delle pubbliche amministrazioni.
«Le garanzie finanziarie sono un importante strumento di tutela della collettività di fronte agli impatti ambientali che possono derivare dalla cattiva gestione delle discariche. Spesso, però, questi strumenti non funzionano come dovrebbero: il lavoro della Commissione è partito da qui per approfondire le criticità. Da una parte ci sono gli illeciti, dall’altra le lacune normative da colmare. Sotto quest’ultimo aspetto, la Commissione ha formulato nella relazione una serie di raccomandazioni, che possono essere la base per un’iniziativa legislativa. I dati in molti casi non esaustivi pervenuti alla Commissione da diverse Regioni sono il segnale di una non sufficiente attenzione verso il delicato tema delle discariche. Le pubbliche amministrazioni devono avere più attenzione, e allo stesso tempo necessitano di maggiori strumenti per tutelarsi di fronte alle irregolarità a cui possono andare incontro nell’ambito delle garanzie finanziarie. Per questo, sarebbe necessaria una maggiore condivisione delle informazioni. Inoltre, la presenza di contratti-tipo contribuirebbe a rendere più efficaci tali strumenti. Un’altra misura che meriterebbe seria valutazione è la possibilità di costruire un sistema misto, in cui la garanzia prestata decresce all’aumentare delle somme accantonate dal gestore», dichiara il presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli.
La commissione ecomafia ha toccato un tema molto interessante che ha riguardato pure la discarica di Rimateria, quello delle fidejussioni. Sarà molto interessante l'analisi futura della commissione quando riguarderà il territorio livornese e piombinese.
ULTIMA ORA
http://www.omcom.org/2021/01/asse-droga-armi-toscana-sardegna-corsica.html
NOTA
Fonti:
rapporti ed operazioni delle forze dell'ordine, notizie di stampa, atti
parlamentari.
Le persone
che sono state nominate nelle suddette fonti sono da considerarsi innocenti
fino a condanna definitiva. Lo stesso discorso vale per le responsabilità delle società ivi
rappresentate.
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