RELAZIONE DIA 2019 1° SEM - TOSCANA




— TOSCANA Le consorterie criminali italiane e straniere continuano a manifestare, anche nel semestre in esame, un particolare interesse nei confronti della regione, stante la variegata ricchezza del tessuto socio-economico.  Alle documentate attività di riciclaggio e ai fiorenti mercati illeciti monitorati dalle attività di indagine non corrispondono, tuttavia, evidenze di un  insediamento strutturato ed autonomo della criminalità organizzata. I recenti risultati di analisi e investigativi fanno emergere, infatti, una elevata mobilità e flessibilità delle strategie criminali che mirano più che a controllare il territorio a condizionarne il sistema economico attraverso il riciclaggio ed il reinvestimento dei capitali illeciti.  In tale contesto, la criminalità organizzata si mette al servizio del mercato proponendosi per attività quali l’esercizio abusivo del credito, l’erogazione di servizi illeciti e l’abbattimento dei costi di impresa, attraverso manovre di intermediazione del lavoro. Per tali “servizi” ricorre alle competenze di professionisti locali.  Si tratta spesso di imprenditori e professionisti in difficoltà finanziaria, che per acquisire maggiore competitività si mettono al servizio delle organizzazioni mafiose.  Più nel dettaglio, per quanto riguarda la criminalità organizzata calabrese, nel semestre l’operazione  Default  che ha riguardato le cosche di Reggio Calabria e un provvedimento di confisca nei confronti della  cosca  GIAMPA’  di Lametia Terme, ha portato al sequestro di beni immobili in territorio toscano.  Con riferimento alla criminalità di matrice siciliana le ultime evidenze disponibili si riferiscono ad un’indagine conclusa nel mese di marzo 2018,  che  ha portato all’arresto di due fratelli palermitani,  pregiudicati, titolari di fatto di una nota pasticceria del centro storico di Firenze, gestita attraverso prestanome.
Nel semestre in esame, nell’ambito di un’operazione  coordinata dall’AG di Messina - non ascrivibile ad un contesto mafioso - sono stati sequestrati numerosi beni, tra i quali un’importante struttura di ricezione turistica in provincia di Siena. Le indagini hanno riguardato un’associazione per delinquere finalizzata alle frodi immobiliari, composta da professionisti messinesi.  Le proiezioni criminali della camorra risultano distribuite in maniera eterogenea sul territorio regionale.  L’operazione  “Ghost Tender”  del  marzo 2018 aveva segnalato la presenza sul territorio toscano di società riconducibili alla consorteria campana dei CASALESI -  gruppo  ZAGARIA. Significativi di tale presenza anche i riscontri giudiziari dell’operazione “Monteregio” (novembre 2018), scaturiti da investigazioni su imprese operanti nella “maremma”, riconducibili a soggetti originari di Marano di Napoli (NA), collegati con la  camorra. Gli stessi provvedimenti interdittivi antimafia emessi dalle Prefetture toscane testimoniano le infiltrazioni mafiose nella regione. Ciò ha indotto il Consiglio regionale della Toscana a rafforzare le disposizioni organizzative sulle procedure di affidamento, approvando nuove disposizioni in tema di affidamento di lavori in materia di appalti pubblici.  Un notazione a parte merita il settore degli stupefacenti ed in particolare il porto di Livorno. Lo scalo sembra essere, infatti, diventato un punto di approdo importante, come dimostra l’eccezionale sequestro, operato nel mese di maggio 2019 dalla Guardia di finanza e dall’agenzia delle Dogane di 644 kg di cocaina, suddivisi in panetti occultati all’interno di borsoni, rinvenuti in un  container  imbarcato su una nave battente bandiera portoghese, proveniente dallo scalo spagnolo di  Algeciras. Il valore della cocaina trovata è stimato in circa 130 milioni di euro.  Con metodologia talvolta assimilabile a quella delle organizzazioni di stampo mafioso “tradizionali” operano, distintamente o in collaborazione con soggetti criminali di nazionalità italiana,  le mafie straniere, composte da stranieri, cinesi in particolare, ma anche albanesi e nordafricani.
Quello degli stupefacenti è il settore illecito privilegiato da queste formazioni criminali, sia per la facilità di approvvigionamento delle sostanze, spesso importate dai Paesi d’origine,  sia  per gli elevati introiti che ne derivano.  Nel traffico, anche internazionale, di stupefacenti (cocaina ed eroina) spiccano gli albanesi,  mentre lo spaccio è sostanzialmente gestito da tunisini e marocchini.  In particolare, così come attestano gli esiti delle diverse inchieste concluse nel semestre, di seguito descritte, la criminalità albanese sembra aver acquisito, in Toscana, una sorta di monopolio di tutta la filiera illecita relativa alla distribuzione degli stupefacenti, dimostrando capacità relazionali anche con altre compagini delinquenziali.

Provincia di Firenze e restante territorio regionale
A Firenze e nel resto della Toscana non sono emersi, nel semestre, dinamiche evolutive di particolare rilievo. I sodalizi  mafiosi - presenti attraverso propri fidati referenti - hanno consolidato la tendenza a diversificare gli investimenti, dimostrando attitudini imprenditoriali in diversi settori, oltre alla capacità di adattamento ai variegati contesti socio-economici, anche mediante condotte collusive.  La riprova di questa tendenza è data dall’attività di aggressione ai patrimoni svolta anche nel semestre dalla DIA e dalle Forze di polizia, oltre che dai provvedimenti interdittivi antimafia adottati dalle Prefetture toscane.
Traffici di droga, riciclaggio e reimpiego di capitali, usura, estorsioni e l’infiltrazione nel settore degli appalti pubblici e privati sono i settori criminali in cui operano prevalentemente gli appartenenti alla ‘ndrangheta  in Toscana.

Recentemente nel territorio apuano sono state acclarate sinergie fra elementi di matrice camorrista ed esponenti della ‘ndrangheta ricollegabili alle cosche che dominano nei mandamenti  della provincia di Reggio Calabria (jonico, tirrenico, centro) e nelle altre province calabre.  In questo contesto degne di nota sono le risultanze investigative dell’inchiesta denominata “Default”,  conclusa il 9 maggio 2019 dalla Guardia di finanza (descritta nel paragrafo dedicato alla provincia di Reggio Calabria), che ha portato alla luce l’esistenza di una struttura imprenditoriale funzionale alla  “commissione di una serie indeterminata di delitti fiscali, in materia tributaria, di bancarotta fraudolenta e di riciclaggio, nonché di truffa ed altri reati contro il patrimonio ed in materia economico-finanziaria…con  l’aggravante di aver commesso i fatti con la finalità di agevolare l’associazione mafiosa unitaria denominata ‘ndrangheta, operante nei territorio della provincia di Reggio Calabria ed in altre parti dei territorio nazionale ed estero, nelle sue articolazioni territoriali operanti nei mandamento di Reggio Calabria con la denominazione di cosche DE STEFANO-TEGANO, LIBRI-CARIDI-BORGHETTO-ZINDATO, e nel mandamento tirrenico con la denominazione di cosche BELLOCCO, PIROMALLI E RUGOLO”.  Contestualmente è stato eseguito un decreto di sequestro preventivo d’urgenza che ha attinto un complesso di beni, ubicati in provincia di Siena. In questa provincia stati sequestrati alcuni immobili siti nel capoluogo e le quote di una società con sede legale a Colle di Val d’Elsa (SI), attiva nel commercio all’ingrosso e al dettaglio di prodotti alimentari e non, anche a mezzo  internet.  Si segnala, poi, una confisca di beni, per un valore complessivo di 500 mila euro, nei confronti di un esponente della cosca  GIAMPÀ, che “ha sostanzialmente importato in Toscana, ampliandolo, il modello imprenditoriale criminale calabrese”.  Con riguardo alle proiezioni criminali di matrice camorristica,  nel tempo si sono registrati insediamenti sulla costa tirrenica (alta Maremma e Versilia, dove emergono soggetti legati a  famiglie  CASALESI) e nella provincia di Prato.  Nel semestre rilevano gli esiti dell’operazione “Bad Juice”,  conclusa il 24 giugno 2019 dalla Guardia di finanza di Pisa, che ha messo in luce l’esistenza di un sodalizio criminoso attivo tra l’Italia, la Serbia e la Croazia, finalizzato alla immissione in commercio di prodotti alimentari (succo di mela) non genuini per caratteristiche e provenienza. In particolare, trattasi di prodotti, da destinare anche al cd.  baby food,  “‘spacciati come biologici e di provenienza UE laddove dalle indagini svolte è emerso in maniera inconfutabile trattarsi di prodotti di provenienza extra UE (Serbia o Cina) e non aventi i requisiti di legge per essere considerati biologici in quanto: o trattati “chimicamente”, o adulterati con aggiunta di saccarosio e trasformati in acqua e zucchero, o contaminati da pesticidi o da tossine (patulina)”. Nella compagine criminale spicca il ruolo egemone di un salernitano, riconducibile al  clan  MARINIELLO-PIGNATARO di Nocera Inferiore (SA), il cui compito era quello dell’approvvigionamento delle merci dalla Serbia. Le stesse venivano introdotte in Italia tramite una società di trasporti connivente, che ricorreva a documentazione falsa  al fine di farne figurare la provenienza da un’altra società con sede in Croazia.  Al soggetto salernitano, gestore di fatto di 3 società, si sarebbero rivolti due fratelli, imprenditori toscani, “operanti nel settore del commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi freschi o conservati e della produzione di succhi di frutta biologici”, per superare una grave crisi finanziaria e giudiziaria. Tra i reati contestati figura anche l’autoriciclaggio e l’evasione fiscale legata alle società che gli imprenditori toscani avevano aperto in Serbia. L’elevato spessore criminale degli indagati, inoltre, è emerso dalla “capacità di allearsi tra gruppi criminali al fine di unire le forze e massimizzarne i profitti”.   Per quanto concerne la criminalità di matrice estera, alcune inchieste giudiziarie condotte nel semestre hanno acclarato la compartecipazione di albanesi e italiani nel traffico internazionale di stupefacenti. Ne è un esempio l’operazione “Buslijnen”,  conclusa nel mese di gennaio dalla Guardia di finanza di Firenze. In tale contesto è stata accertata l’operatività di una strutturata organizzazione malavitosa italo-albanese, dedita al traffico internazionale di stupefacenti, attiva in Toscana ma con base logistica, direzionale e di pianificazione in Olanda e in  Albania.  Al trasporto della droga, abilmente nascosta nei vani dei sottoscala di pullman di linea che coprivano la tratta stradale Olanda-Belgio-Milano, erano adibiti soggetti italiani. Una volta giunto a Milano, lo stupefacente veniva prelevato da soggetti albanesi per la successiva distribuzione nel territorio lombardo ed in Toscana. Significativi anche gli esiti delle indagini sviluppate nell’ambito dell’operazione “Due Mondi”, conclusa nel mese di febbraio 2019 dai Carabinieri di Livorno con l’arresto di 10 soggetti. L’indagine ha disarticolato un’altra organizzazione italo-albanese che operava tra Pisa e Livorno, dedita al traffico di ingenti quantitativi di droga (marijuana  e  cocaina) ed alla successiva vendita al dettaglio nella provincia di Livorno. Le investigazioni hanno, altresì, rivelato come il gruppo costituisse il canale di rifornimento di due soggetti napoletani, residenti in provincia di Livorno e legati al  clan  camorristico TOMASELLI del quartiere napoletano di Pianura, i quali acquistavano lo stupefacente dagli albanesi e lo rivendevano sulla piazza di spaccio dell’Isola dell’Elba, avvalendosi di pregiudicati del luogo.  Analogamente, l’operazione  “Sabbia”,  conclusa il successivo mese di maggio dai Carabinieri di Firenze, ha disarticolato sempre un gruppo italo-albanese, attivo in Toscana nel traffico internazionale di  marijuana. Lo stupefacente, introdotto dall’Albania in Puglia a bordo di natanti, fatti approdare a Brindisi, era trasferito attraverso dei corrieri, oltre che a Firenze anche verso la piazze di spaccio milanesi, romane e napoletane “secondo un sistema consolidato di cessioni a catena che comportavano la necessità di continui collegamenti tra l’area toscana ed il brindisino”, in modo  che  “tutti i membri di questo, pur rudimentale, sodalizio erano consapevoli di operare di concerto”. Tra i corrieri figura un soggetto originario di Taranto e domiciliato in provincia di Brindisi, gravato da precedenti in materia di contrabbando di tabacchi. In ultimo, si segnala l’inchiesta “Koshi foles”,  conclusa il 10 giugno 2019 dai Carabinieri di Firenze. Sono stati tratti in arresto - tra Firenze, Siena, Prato, Parma, Milano, Roma e Varese -  10 cittadini albanesi responsabili di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Firenze, in particolare, è risultata centro nevralgico dell’organizzazione e di smistamento della droga (importata dal Sudamerica) verso altre parti della Toscana. Sul territorio toscano, anche i gruppi criminali nigeriani, marocchini e tunisini confermano un forte interesse per i traffici di droga. È quanto risulta dai numerosi arresti operati nel semestre in esame a Firenze e nelle altre province toscane. Il 19 gennaio 2019, nell’ambito dell’operazione  “Bat24”,  la  Polizia di Stato fiorentina ha eseguito un provvedimento restrittivo nei confronti di 26 cittadini nigeriani e marocchini, accusati di associazione finalizzata allo spaccio di eroina, hashish e marijuana tra i giardini della Fortezza da Basso, nel centro del capoluogo. Le indagini si sono avvalse degli agenti sotto copertura, e al riguardo il Procuratore Capo di Firenze ha dichiarato: “Per lo spaccio al dettaglio la legge prevede pene che nella maggior parte dei casi non consentono di mantenere gli arrestati in situazione di detenzione, per cui i pusher sono convinti di una sostanziale impunità, ma con quest’indagine si è cambiato completamente metodo, facendo ricorso agli agenti sotto copertura come si fa per il contrasto ai grandi traffici di droga”. Tra gli arrestati figura anche il presunto capo dell’organizzazione, un cittadino nigeriano 33enne, arrestato dopo aver venduto oltre mezzo chilo di eroina proprio a un agente  undercover.  In ultimo, si segnalano, ad  Arezzo, gli esiti investigativi dell’inchiesta “Duomo  Vecchio”,  conclusa il 9 maggio 2019 dalla Polizia di Stato, che ha disarticolato una centrale dello spaccio in quel centro cittadino, composta da Più DI 40 soggetti di prevalente origine nigeriana e marocchina. Non accenna poi a diminuire l’interesse delle organizzazioni criminali nigeriane verso lo sfruttamento della prostituzione  ed altri settori dell’illecito.  Nella regione, la criminalità cinese si conferma il “macro-fenomeno” più pervasivo, organizzato e radicato, i cui interessi sono sempre principalmente alla contraffazione, al contrabbando di merci, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, all’impiego di manodopera in “nero” e allo sfruttamento della prostituzione.  Peraltro, nel mese di gennaio, a Firenze, è iniziato il processo “China  Truck".  L’inchiesta, conclusa dalla Polizia di Stato nel mese di gennaio 2018, aveva portato allo smantellamento di una associazione criminale capace di acquisire il monopolio del trasporto delle merci su strada delle aziende cinesi in Europa.  Il macro-fenomeno in parola si evidenzia soprattutto nell’area geografica di Prato e Firenze, dove si estende il distretto del tessile-abbigliamento, volano dell’economia locale, in cui si è instaurato un parallelo mercato cinese che ha causato effetti dirompenti in termini di concorrenza per il “Made in Italy”. Una sorta di  black economy, quindi, che si caratterizza anche per l’impiego di manodopera clandestina e che, talvolta, vede anche il coinvolgimento di soggetti italiani, in qualità di mediatori, imprenditori o professionisti chiamati a curare le assunzioni fittizie o le pratiche concernenti l’affitto di capannoni industriali.  Rileva, in tale contesto, l’arresto operato dai Carabinieri di Prato, nel mese di gennaio 2019, nei confronti di un cittadino cinese, responsabile di sfruttamento di manodopera,  il  quale, unitamente ad altri otto indagati, gestiva un laboratorio tessile, impiegando operai cinesi, costretti a turni di lavoro disumani, in situazioni di sicurezza precarie e condizioni alloggiative degradanti.  L’impegno della DIA nel contrasto alle manifestazioni della criminalità cinese, anche nel profilo economico-imprenditoriale, ha trovato conferma in una confisca  di beni per un valore di circa 1,5 milioni di euro nei confronti di un imprenditore tessile, residente a Carmignano (PO), ma di fatto abitante ed attivo a Prato. L’uomo, gravato da numerosi pregiudizi penali connessi all’immigrazione illegale, al gioco d’azzardo e all’importazione di merce di contrabbando, per giustificare il suo tenore di vita ha esibito alcune ricevute di vincite alle  slot machines, per alcune decine di migliaia di euro, ritenute non sufficienti per far luce sulla sproporzione tra i redditi dichiarati dall’imprenditore e i beni posseduti. Il provvedimento ha riguardato una villetta a Prato, le partecipazioni a due società e numerosi conti correnti.

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